Mentre in Inghilterra si sperimenta una cura basata su uno studio italiano, proviamo a saperne di più su questa malattia ancora poco conosciuta. Ne abbiamo parlato con un dirigente medico del Policlinico e con il referente catanese dell'AISLA
SLA, il breve tramonto della vita
La notizia è stata da poco annunciata da Bbc news: sta per partire in Inghilterra la sperimentazione di una cura basata sul litio per il trattamento della Sclerosi Laterale Amiotrofica. La sperimentazione parte da uno studio italiano, condotto dall’Istituto Neurologico di Pozzilli (Isernia), ed è stato effettuato su un campione di 16 pazienti. Pochi per avere delle certezze, abbastanza per sperare. E anche per ricordare che i riflettori su questa malattia non devono essere spenti.
La SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) è anche nota come malattia di Charcot dal cognome del neurologo francese che la descrisse per la prima volta, o come malattia di Lou Gehrig, giocatore americano di baseball che fu colpito per primo nel 1939 da questa malattia. In Italia, i personaggi più noti colpiti dalla malattia sono stati Giuliano Taccola, Gianluca Signorini, Stefano Borgonovo. Dagli effetti a volte lenti, a volte fulminanti, la SLA non ha cause certe e non ha cure definitive. Abbiamo chiesto al professore Giovanni Pennisi, dirigente medico del reparto di Neurologia al Policlinico di Catania, di spiegarci i dati relativi alla malattia su base nazionale.
“In via generale vengono colpite le persone in età adulta o anziana tra i 50 e i 70 anni, con un rapporto uomo-donna pari a 1,5/1 e con una incidenza di 5-10 malati su 100.000 abitanti. Solo il 10% dei casi possono risalire a cause ereditarie. Lo stato di incidenza a Catania segue la tendenza nazionale”.
Tra le ipotesi più accreditate su come si contrae la malattia troviamo il contatto con metalli pesanti, l’eccessiva produzione di glutammato da parte dell’organismo; ma ci sono anche dei fattori tossici esterni all’organismo umano. A tal proposito, si è scoperto come alcuni abitanti dell’isola di Guam, nell’Oceano Pacifico, siano affetti dalla malattia a causa dei semi della pianta tropicale cycas circinalis.
Tra i sintomi riconosciuti si ha una progressiva perdita di forza, atrofia muscolare, problemi nel masticare, deglutire e nel parlare, riconducibili ad una specifica forma di SLA denominata bulbare.
“E’ difficile effettuare una diagnosi in fase precoce data anche la velocità, calcolata intorno ai 2-3 anni, con cui la malattia può portare alla morte. In alcuni casi – continua il medico catanese – è possibile che i tempi si allunghino fino a 6 anni. Ed è proprio sulla gestione della malattia che la medicina sta puntando ultimamente, data la mancanza di certezze a livello di cure”.
Per quanto riguarda gli sportivi malati di SLA, si è notato l’elevato numero di calciatori o ex calciatori italiani: 57, un numero venti volte superiore alla media della popolazione mondiale. “Secondo uno studio condotto dal dottor Guariniello nel 1999 – ci racconta il prof. Pennisi – su un campione di 24 mila calciatori che hanno giocato tra il 1960 ed il 1996, si sono messi in evidenza due aspetti importanti: l’elevata incidenza della malattia nel campione selezionato e l’età media d’esordio, sensibilmente inferiore rispetto a quella della popolazione generale”.
Tre sono le ipotesi sulle cause della SLA in ambito sportivo: l’elevato uso di antinfiammatori come il Diclofenac e di antidolorifici, il doping e l’uso di pesticidi nei campi di calcio. “Ma purtroppo – continua il medico catanese – non si hanno ancora certezze in tal senso. Inoltre, tengo a precisare come a mio avviso non risultino casi sportivi di SLA nella provincia di Catania”.
In stretta relazione con il mondo sanitario, la sezione di Catania dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) grazie al suo referente Angelo Morales porta avanti da quattro anni una campagna di sensibilizzazione e di sostegno ai malati di SLA. L’impegno di Morales è nato dalla moglie malata di SLA che lo scorso febbraio è venuta a mancare dopo un calvario di tre anni e mezzo.
“Dapprima eravamo organizzati in comitato locale – ci spiega Morales – poi abbiamo allargato il cerchio grazie ad Internet. Infatti, con una petizione online siamo riusciti a raccogliere circa 13.000 firme e prendere contatti col dott. Mario Melazzini, Presidente nazionale dell’AISLA Onlus, con il quale abbiamo avviato un continuo e proficuo lavoro di sensibilizzazione verso il Ministero e le varie USL a livello locale”.
E come ci racconta il referente catanese dell’AISLA, tanti sono stati i passi in avanti: “Dai gruppi di lavoro tra l’associazione e i funzionari del Ministero della Salute nel 2006, ai recenti finanziamenti per i malati di SLA per l’utilizzo del My Tobii, ovvero un computer a “comando visivo”, capace di migliorare sensibilmente la qualità della vita delle persone colpite da disabilità motorie”.
Ma non sono tutte rose e fiori: “Di fatto, tanto ancora manca, soprattutto per i malati di SLA delle zone interne della Sicilia. Ad oggi – continua Morales – solo Catania, Palermo e Messina possono ritenersi a livelli standard per ciò che riguarda l’assistenza, ma nelle altre provincie siciliane la situazione è grave”.
Il futuro, a detta di entrambi gli intervistati, è ancora incerto seppur qualche spiraglio di luce potrebbe aprirsi. Le cellule staminali o la terapia genica potrebbero dare speranza a quelle persone che ogni anno si ammalano. “Una maggiore informazione e qualche campagna solidale di raccolta fondi alla Telethon – secondo Morales – potrebbero dare un maggiore sostegno alla ricerca. Tuttavia – conclude il rappresentante catanese dell’AISLA – bisogna vigilare sull’immobilismo istituzionale e burocratico che spesso attanagliano le regioni del Sud Italia”.