Nino Iannazzo è stato primo cittadino del Comune palermitano tra il 2007 e il 2012, anni in cui per due volte Giuseppe Salvatore Riina è uscito di prigione e ha tentato di reinserirsi in paese. «Non avevamo mai sentito una presa di distanza dal padre». Cosa che non è avvenuta neanche ieri sera a Porta a Porta
Ex sindaco contrario a presenza di Riina jr a Corleone «Non si può raccontare la famiglia del mulino bianco»
«Non si possono fare soldi raccontando la storia della famiglia del mulino bianco, quando si sta parlando della famiglia di un mafioso, vissuto tra latitanza e stragi». Ne è convinto Nino Iannazzo, sindaco di Corleone tra il 2007 e il 2012, negli anni in cui per due volte Giuseppe Salvatore Riina, figlio del boss mafioso, è uscito di prigione e ha tentato la via dell’inserimento nel tessuto sociale corleonese.
«La prima volta – racconta Iannazzo – Giuseppe Riina tornò a Corleone con l’obbligo di dimora nel paese, decisione rispetto alla quale io mi opposi più volte. Erano scaduti i termini di custodia cautelare, per questo la misura di prevenzione prevedeva l’obbligo di soggiorno nel territorio comunale». Secondo Iannazzo, i motivi per cui preoccuparsi sarebbero stati due: «Da un lato – racconta – non avevamo mai sentito una presa di distanza dal padre, anzi ha sempre relegato le vicende che hanno visto protagonisti sia lui che suo padre alle cronache giudiziarie, senza assumersi realmente la responsabilità di quello che avevano commesso». E neanche ieri sera, intervistato da Bruno Vespa a Porta a Porta, il figlio del capo dei capi ha espresso parole di distacco dalla famiglia. «Io amo mio padre, la mia famiglia, non tocca a me giudicare – ha detto -. Giudico quello che mi hanno trasmesso i miei famigliari, se sono la persona che sono lo devo ai miei genitori, fuori dalle sentenze c’è la persona umana. Perchè dovrei dire che mio padre ha sbagliato? Per questo c’è lo Stato, non tocca a me».
L’ex sindaco, poi, aggiunge: «Da amministratore, mi preoccupava il reinserimento di Riina jr, data anche la disoccupazione giovanile molto diffusa in paese: il rischio di un facile arruolamento di manovalanza giovane, insomma, era sempre dietro l’angolo». A irrigidire ulteriormente l’atteggiamento dell’allora sindaco del Comune alle porte di Palermo era anche il fatto che il giovane non avesse ancora «pagato il suo debito con la giustizia. Requisito che invece venne meno dopo il secondo arresto, quando finì di scontare il residuo di pena. A quel punto il suo debito con la giustizia era stato pagato, ma le mie preoccupazioni rimanevano tutte. Fortunatamente le pressioni da parte della società civile furono molte. E dopo un periodo di tempo scelse di trasferirsi fuori, a Padova se non ricordo male».
In ogni caso, secondo Iannazzo, le paure erano fondate: «In paese Riina jr non era avvertito come un soggetto da allontanare, ma da riverire». «Oggi Corleone sembra essere tornata 30 anni indietro. Le ultime vicende raccontano di un quadro inquietante, dipendenti comunali che organizzavano attività criminose, il Comune che sceglie di non costituirsi parte civile nei processi per mafia, anche la società civile è un po’ spenta».
In questo clima, le famiglie Riina e Provenzano continuano ad abitare a Corleone, a fare la spesa nelle botteghe, a prendere il caffè nei bar e passeggiare in piazza la domenica mattina. «Io sono convinto che tanti corleonesi siano brava gente, ma è inutile negare che c’è anche chi non vede la mafia come qualcosa di negativo. Il punto è vedere da quale lato penda l’ago della bilancia. E io temo che, dopo tanti sforzi e una meravigliosa rinascita, oggi quell’ago sia tornato a pendere dalla parte sbagliata».
«Io non voglio entrare nel merito della trasmissione, ma mi auguro che chi l’ha vista abbia notato la capacità di questo soggetto di tirarsi fuori dalle colpe della propria famiglia. Non si possono fare soldi raccontando la famiglia del mulino bianco, quando si sta parlando della famiglia di un mafioso, vissuto tra latitanza e stragi».