La vicenda giudiziaria riguarda amministratori e dirigenti dell'ente, tra questi l'attuale sindaco Mauro Mangano e il suo predecessore Giuseppe Failla. Le ipotesi di reato erano omissione di atti d'ufficio e inquinamento ambientale. Tutto era partito dalla denuncia di un imprenditore ma la procura aveva chiesto l'archiviazione
Paternò, sversamento liquami nel fondo Milici Cassazione annulla il non luogo a procedere
Colpo di scena nella vicenda giudiziaria che riguarda l’imprenditore agricolo paternese Nino Milici. La corte di Cassazione ha annullato il provvedimento, emesso nell’ottobre del 2015 dalla giudice per l’udienza preliminare Giuliana Sammartino, che stabiliva il non luogo a procedere «perché il fatto non sussiste» nei confronti di quattro persone: l’ex sindaco di Paternò Giuseppe Failla, l’attuale primo cittadino Mauro Mangano, l’ex dirigente oggi in pensione Giuseppe Di Mauro ed Eugenio Ciancio, dirigente ai lavori pubblici.
La vicenda vedeva i quattro accusati di omissione di atti d’ufficio e inquinamento ambientale. Tutto parte dalla denuncia presentata da Milici nell’ottobre del 2010. Secondo l’imprenditore, amministratori e dirigenti comunali, sarebbero stati i responsabili del cattivo funzionamento della condotta fognaria della zona San Marco. L’area dove si trova il fondo agricolo dell’uomo, che a causa delle pessime condizioni delle tubature avrebbe subito consistenti sversamenti di liquami.
Una vicenda penale molto controversa: da un lato Andrea Bonomo, il magistrato titolare dell’inchiesta aveva chiesto l’archiviazione, in quanto il Comune di Paternò aveva inserito nel piano triennale delle opere pubbliche un progetto per la realizzazione del collettore fognario, richiedendo alla Regione un finanziamento andato poi perduto. Progetto, che nonostante l’impegno dell’ente, si era quindi arenato. Dall’altro lato la giudice per l’indagine preliminare Flavia Panzano non aveva accolto la richiesta disponendo la riformulazione dei capi d’imputazione per i quattro imputati, in quanto i liquami entravano «nella proprietà dell’imprenditore e contengono un elevato contenuto batteriologico; di conseguenza rende ipotizzabile a carico dei soggetti, amministratori e funzionari, la consapevole violazione della normativa dettata in materia di inquinamento ambientale».
Il Gup Giuliana Sammartino al termine delle udienze aveva scelto di accogliere la tesi di Bonomo. Per la togata gli elementi acquisiti non risultavano idonei a sostenere un accusa in giudizio. Per la giudice «la mancata esecuzione dei lavori di completamento e ulteriori provvedimenti d’urgenza non erano attribuibili ad un indebito rifiuto, a una inerzia omissiva e ingiustificata da parte degli imputati». Ad assistere i quattro amministratori gli avvocati Vittorio Lo Presti, Anna Maria Scuderi, Turi Milicia e Rosanna Natoli.