Il viaggio di un chilo di ciliegino di Pachino verso il Nord Italia ha diverse tappe, durante le quali il prezzo lievita in maniera vertiginosa. Così nelle tasche del produttore resta meno di un decimo di quanto paga il consumatore finale. Coldiretti lancia un appello ai grandi marchi, ma solo uno risponde
Pomodorino: in Sicilia 30 cent, al Nord da 4 a 6 euro «Rincari immotivati, colpa della grande distribuzione»
«Se questa stagione si conclude così come è iniziata, non sarà solo un’azienda a finire all’asta, ma tutta la Sicilia». Al mercato di Vittoria si lavora nel pessimismo, parola del presidente dei concessionari, Giorgio Puccia. Qui centinaia di piccoli produttori portano i prodotti coltivati nelle campagne del Sud-Est siciliano. È il primo passaggio della filiera che permetterà a pomodori, melanzane, zucchine di finire sulle tavole del Nord Italia. Ma il consumatore finale è costretto, in molti casi, a pagare un prezzo fino a venti volte più caro di quanto in realtà finisce nelle tasche del produttore siciliano. Come per il pomodorino ciliegino di Pachino. «Noi vendiamo un chilo tra i 30 e i 70 centesimi al chilo, in base alla qualità del prodotto, – spiega Gianfranco Cunsolo, presidente Coldiretti di Ragusa e titolare di un’azienda agricola tra Vittoria e Acate – poi finisce sui banchi della grande distribuzione del Nord Italia a prezzi che vanno da quattro e sei euro. È una forbice eccessiva e che va ridotta, perché così moriamo. Chi se lo può permettere comprerà cento grammi, anziché mezzo chilo».
Ma quali sono i passaggi che fanno lievitare i prezzi? E questi ultimi sono legittimi? «Io per produrre un chilo di pomodorino di Pachino spendo circa 70 centesimi – spiega Pietro Simonelli, piccolo imprenditore agricolo – ma lo vendo a 60-70 centesimi. Quest’anno tutto è sotto i costi di produzione, anche le melanzane e le zucchine». Secondo Coldiretti un prezzo di vendita giusto per garantire al produttore l’avvio della stagione successiva sarebbe compreso tra un euro e 1,20 euro. Cifre ben lontane da quelle in vigore al momento, inferiori del 40 per cento pure rispetto all’anno scorso. Colpa di tre fattori: le alte temperature che hanno causato una sovrapproduzione, l’embargo alla Russia che ha dirottato i prodotti della Turchia sul mercato europeo, e la fortissima concorrenza dei pomodori del Marocco. A ricevere i prodotti al mercato di Vittoria sono i concessionari. «Noi – spiega il presidente Puccia – prendiamo solo il 10 per cento, il resto va al produttore. Non è qui che la forbice si allarga, ma nella grande distribuzione».
Il nostro chilo di pomodorini, quindi, uscito dal più grande mercato del Sud Italia, prende la strada del Nord. Tra confezionamento e trasporto, si stima che in media è necessaria «un’ulteriore spesa che va dai 60 ai 90 centesimi al chilo», come sottolinea Cunsolo. Volendo dunque considerare 70 centesimi il prezzo di vendita del produttore, un rincaro di altri 7-10 centesimi del concessionario, più 90 centesimi, si arriva a un massimo di 1,70 centesimi al chilo. «Il prodotto giunge nei mercati generali delle città del Nord – spiega Puccia – e qui subentra un ulteriore passaggio: la grande distribuzione non attinge direttamente a questi mercati, ma lo fa attraverso alcuni fornitori». È in quest’ultimo step, tra fornitore e grande distribuzione, che il prezzo ha un aumento vertiginoso. «Il consumatore finale dovrebbe trovare il prodotto massimo a 2,50 euro al chilo, altrimenti dietro c’è una speculazione», chiarisce il presidente di Coldiretti.
L’associazione di categoria ha rivolto un appello ai grandi marchi affinché riducano la forbice tra produttore e consumatore. «Mi risulta che solo la Coop sta attuando una politica per tenere il prezzo a 1,50-60 euro. Ma è solo una catena – conclude – servirebbe un impegno condiviso e l’attivazione da parte dell’Europa delle clausole di salvaguardia».