Il SalinaDocFest premia la denuncia di un migrante

 

 

 
Forte è il grido di denuncia – lanciato dalla giuria popolare, costituita dal pubblico dell’isola, dalla giuria ufficiale del concorso internazionale “Fughe e approdi”  – decretando come vincitore il documentario “Come un uomo sulla terra” (Like a man on the earth) di Andrea Segre e Dagmawi Yimer, in collaborazione con Riccardo Biadene. Come dice Segre “E’ un viaggio di dolore e dignità”, attraverso cui si dà voce al silenzio, raccontando le violenze sui migranti da parte dei contrabbandieri che gestiscono il viaggio dall’Etiopia al Mediterraneo, ma anche e soprattutto le prevaricazioni e brutalità di cui si macchia la polizia libica, responsabile di indiscriminati arresti e disumane deportazioni. Il protagonista, Dagmawi, sopravvissuto a questa trappola, riesce ad arrivare via mare in Italia, qui impara l’italiano e il linguaggio del video-documentario. Strumenti usati per raccontare la sua storia e quelle dei suoi coetanei.
 
La giuria, presieduta dal giornalista Curzio Maltese e composta da Luca Bigazzi, Francesco Munzi, Gianfranco PannoneeAlessandro Rais, ha dato questa motivazione:
‹‹I finanziamenti di stato dell’Italia sono usati dal governo libico per costruire prigioni-lager nel deserto, dove da anni la polizia rinchiude, depreda, violenta e tortura migranti africani. Non fosse che per la denuncia di questo scandalo, ignorato del tutto finora dai media e dall’opinione pubblica, “Come un uomo sulla terra” merita una forte segnalazione. All’unanimità la Giuria ha deciso di assegnare il premio a quest’opera necessaria, importante ed emozionante. Nella speranza di poter contribuire a rompere il muro di omertà che molti governi occidentali, in testa l’Italia, sembrano disposti a garantire a Gheddafi, nell’urgenza di stipulare ricchi affari››.
 
Il documentario, che ha vinto il Premio Porsche Pubblico di Salina e il Premio Tasca d’Almerita, proiettato in questi giorni anche a Roma e a Milano, sarà invitato, a novembre – avendo vinto anche il Premio Brasile, assegnato da Beth Formaggini, Renata de Almedia e Leon Cakoff alla 32^ edizione della “Mostra Internacional de Cinema de Sao Paulo”.
 
Una menzione speciale va al film “Welcome Bucarest” di Claudio Giovannesi perché ‹‹ha il pregio – questa la motivazione – di uscire dalla trappola di una doppia retorica dominante in Italia sul tema dei migranti. Da un lato il qualunquismo con sfumature razziste della “tolleranza zero”, dall’altro il buonismo di maniera della “tolleranza ad ogni costo”. La storia di un ragazzo italiano e rumeno e del suo rapporto con i compagni di scuola e gli insegnanti non offre facili soluzioni da slogan, non esorta e non deplora, ma fotografa i dubbi, le ambiguità e l’impreparazione del nostro paese nell’affrontare una grande mutazione sociale››.
 
Si è concluso così domenica sera il SalinaDocFest, dopo un’intensa settimana di proiezioni, incontri-dibattito, spettacoli musicali e teatrali. Alla sua seconda edizione, Il festival itinerante del documentario narrativo, ha mantenuto tratti somatici forti – l’anno scorso si è parlato di Camorra con Saviano, del Kurdistan… – pur distinguendosi per alcune novità tra cui il gemellaggio con il cinema brasiliano, il workshop aperto ai professori di scuola media superiore, il racconto inedito di Vincenzo Consolo pubblicato nel catalogo del festival.
 
Molto successo ha riscosso l’incontro di venerdì “Il nuovo cinema italiano: autori a confronto” che si è aperto con la proiezione del film “Il resto della notte” di Francesco Munzi. Una scelta nata, innanzitutto, dalla volontà di stabilire una connessione fra documentario e film di finzione. Il film di Munzi, come “Gomorra” di Matteo Garrone, ben rappresentano una tendenza che si sta affermando fortemente nel cinema italiano di questi anni: Il ritorno alla realtà. Gli autori più interessanti del nostro cinema, infatti, sembrano distinguersi proprio per una nuova capacità di sguardo, a tratti lucido, a tratti estraniato, ma sempre intenso, sulla realtà sociale, politica e storica del nostro paese. Uno sguardo che accomuna registi di finzione e documentaristi, che sembrerebbe portare alla demolizione delle consuete barriere di genere. Vittorio Taviani, che ha seguito con passione il dibattito, ha colpito e commosso tutti i presenti, rievocando il clima respirato da lui e dal fratello Paolo, quando, giovanissimi, si confrontavano con il neorealismo e ricordando le loro conversazioni con Rossellini.


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