“Gli studenti ostentano solitamente un’andatura leggera”

I primi classificati delle due scorse edizioni sono stati Maria Serena Maiorana con il racconto “L’abbandono e la polvere nera” (2007) e Sergio Costa con “Il Monastero”, racconto in versi. I due studenti, premiati rispettivamente dallo scrittore Andrea De Carlo e dalla scrittrice Maria Attanasio, hanno vinto una vacanza studio all’estero. I racconti sono stati pubblicati dalla Villaggio Maori Edizioni nella collana “I Racconti del Monastero”.
Il premio si avvia oggi alla terza edizione: il bando sarà consultabile dalla fine di ottobre sul sito della facoltà di Lettere: ww.flett.unict.it
 
 
Ecco due brani scelti dei racconti vincitori delle scorse edizioni:
 
Da “Il Monastero” di Sergio Costa, 1° classificato di “Raccontare il Monastero” 2008, pubblicato dalla Villaggio Maori Edizioni.
 

*

Al primo piano la prospettiva è la stessa
solo un poco mutata è la luce
più ispessite le ombre.
Gli ampi corridoi
consentono infiniti passaggi
un via vai spettacolare e continuo
che nei giorni d’esame
trova il suo culmine esatto.
Allora ci si sente davvero
in una piazza o un mercato.
C’è chi prega i suoi santi
stando seduto per terra,
chi lancia proclami
di nessun conto.
Chi ti vende non visto
un cellulare rubato.

*

Sulla destra il chiostro
non è al momento visibile
per restauri. Impalcature possenti
teloni di varia grandezza e misura
si impongono ai nostri obiettivi.
Impossibile vedere più in là
con forza introdurre un ditino
sbirciare.
Eppure come una nube uno stormo
d’insetti sul vetro
ci sbattiamo il muso, le corna.
Raschiamo fino perderci il senno.

*

Gli studenti ostentano
solitamente un’andatura leggera.
Filano sul ghiaccio degli anni
volentieri esibiscono
eccessiva freschezza.
Negli immediati dintorni però
esistono luoghi dove la mente s’infogna,
le idee formano brevi ristagni
e nessuno ci crede.
Eccoli piegati sul banco
ad ognuno un suo guscio
scrivani dal facile
abbiocco.

*

D’improvviso
ci è presa una parlantina puntuta
una sete del mondo.
[…]

*

Si scende, si scende
dove il giorno è lontano
una fantasia d’altri tempi
e i neon non segnano i quarti
le mezze ore, le intere.
Una cappa costante e soffusa
accompagna il turista
che non cerchi l’euforia del bazar,
la cecità sconfinata
dell’ipermercato.
Solo silenzio e nient’altro
in realtà poca roba
ben salda. E in ogni stagione
carta da ardere al fuoco
della lettura, buona persino
per sgrassare i banchi, i cataloghi
con l’aggiunta di alcool.

*

Sotto c’è un buon odore di polvere
e ci si sente osservati
senza un vero motivo.
[…]

*

È il momento preciso
in cui si esce dall’ombra, si attraversa
il confine, e cominciano i salti
il bruciore degli occhi.
Poco dopo è possibile
nuovamente vedere le cose
gli oggetti nel loro aspetto consueto
ma appena traslucidi, nuovi
nell’usura che li ha resi pesanti
oppure leggeri, forati
nel centro, appiattiti.
E allora con un passo o un atto
di volontario assenso
ci si cala carponi nell’immensa
variopinta chiacchera
del mondo.

Da “L’abbandono e la polvere nera” di Maria Serena Maiorana, 1° classificato di “Raccontare il Monastero” 2007 , pubblicato in “I racconti del Monastero”, Villaggio Maori Edizioni.
 
“Il mio posto preferito però era un altro, il primo chiostro, quello all’ingresso. Il mese perfetto al contrario era sempre lo stesso, maggio. Perché a maggio c’era un albero, e fioriva. E dopo aver fiorito spargeva i suoi petali fucsia in terra. E per tutto maggio i petali continuavano a cadere. E forse cadono ancora. Tutti gli alberi fioriscono a maggio. Tutti o quasi tutti. Mi piaceva però guardare quello.
Perché i suoi petali cadevano, lenti. E organizzavano un tappeto colorato, in fondo.
C’era qualcosa di orientale in quell’albero. Sarà stato che era quasi sempre spoglio, solo, minimale. Solo lenti petali fucsia, a maggio, che scivolavano giù.
Ci sono sempre dei petali che cadono in Giappone, e forse anche in tutto l’oriente. Chissà se esiste qualcuno che non ha quest’idea di quei luoghi, che non li immagina come ce li hanno fatti sempre immaginare con le porcellane cinesi. O ricordare, osservando un piccolo albero in un cortile universitario. Al monastero dei Benedettini, nel chiostro. A maggio.
A pensarci bene però c’era qualcosa di vagamente orientale in tutta Catania. Qualcosa che te la faceva sembrare equilibrata ed elegante anche nei giorni gialli e aspri, caotici e neri. Non saprei dire con esattezza cosa fosse. Forse la parlata cantilenante. I polli appesi sotto tende rosse ai mercati di quartiere. Alberi come quello, in giro per la città. O più probabilmente era la montagna. Sola e maestosa, l’Etna sembrava voler accogliere più che intimorire, con i suoi pendii dolcissimi e la sua faccia bianca bianca quando diventava inverno. Eppure è un vulcano che sempre fuma e gorgoglia. Enorme, immobile e gelosissimo.
Probabilmente era proprio la montagna, perché trasmetteva energia ed equilibrio. E perché, a pensarci bene, sembrava quasi il Fujiama”.


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