Reportage - Viaggio nel paese della piana di Catania dove l'arancia è considerata preziosa come l'oro. Le difficoltà del settore, però, sono tante: mentre la Spagna esporta più di metà dei suoi prodotti, lItalia ne vende allestero appena il 6 per cento
Palagonia la rossa
Giovedì mattina. Si sente che la primavera è alle porte, è una giornata assolata e l’aria è riscaldata dal soffio leggero dello scirocco. Guidando verso Palagonia, paesino al margine sud della piana di Catania, – 200 metri sul livello del mare, circa 16mila abitanti – quello che mi si presenta davanti gli occhi è una miriade di arance rosso fuoco che pendono dagli alberi, e il verde cupo della vasta distesa di agrumeti che si mescola con l’intenso azzurro del cielo. Ad un incrocio, una cappella circondata da fiori di ogni varietà e colore. Al suo interno la statua della patrona del paese, santa Febbronia. Più avanti, sul ciglio della larga strada, un grande cartello bianco con su scritto “Benvenuti a Palagonia, città dell’arancia a polpa rossa”.
Le arance sono il simbolo e insieme il vanto del territorio: “l’oro rosso”, secondo una definizione dei contadini palagonesi. In un’area di 5.565 ettari, 3.600 sono destinati alla coltivazione degli agrumi, principalmente arance Tarocco, con un’incidenza del 65% e una produzione annua che supera le 100.000 tonnellate (dati Istat, indagine statistica del triennio 2004-2006). Nella periferia sud del paese agli agrumeti si alternano alle varie aziende, perlopiù di piccole dimensioni e individuali, che lavorano gli agrumi per i mercati nazionali ed esteri.
Mi fermo davanti una delle cooperative, la Tre Fontane. A lato del grande capannone si susseguono le auto parcheggiate degli operai, sotto un’ampia tettoia ci sono a destra i bancali con le cassette di arance appena raccolte, a sinistra le cassette vuote e i binz, grandi cestoni in plastica grigi destinati a contenere le arance non idonee al commercio, che verranno mandate all’industria di trasformazione per ottenerne succhi e derivati. Mi accoglie il signor Nino, il direttore commerciale, un uomo di mezza età, alto, pelato, con la carnagione scura e due grandi occhi verdi.
La prima cosa che gli chiedo è come mai ci siano solo tre cooperative. “Ancora oggi – mi spiega – la commercializzazione delle arance rosse avviene mediante la contrattazione personale con gli agrumicoltori, a causa del forte individualismo sia nella produzione che nel commercio. Ecco perché ci sono numerose aziende individuali e pochissime organizzazioni di produttori“. Nino spiega che “le arance sono la maggiore risorsa economica di Palagonia”, ma aggiunge che “da qualche anno però c’è crisi”. A determinarla sono stati molti fattori, tra cui il susseguirsi di calamità naturali negli ultimi anni: lunghi periodi di siccità si sono alternati a piogge alluvionali e trombe d’aria che hanno provocato ingenti danni alle produzioni e alle strutture.
Ma vanno messi in conto anche l’aumento della produzione mondiale e la crescente concorrenza che ne deriva. “Da non sottovalutare è anche la concorrenza di alcuni paesi del Mediterraneo come Marocco, Turchia e Tunisia, ai quali la Comunità Europea ha concesso numerose agevolazioni tra cui l’abbattimento delle barriere doganali e tariffarie e dove per altro i costi di produzione, rispetto ai nostri, sono bassissimi“.
L’arancia di qualità Tarocco è presente sui mercati comunitari solo marginalmente, poiché vengono commercializzati come Tarocco arance differenti per qualità e proprietà organolettiche, generando confusione nei consumatori. La distribuzione del prodotto riguarda per il 34% i mercati all’ingrosso del centro Italia, per l’11% la grande distribuzione, per il 5% la distribuzione al dettaglio. Il 44% è destinato all’industria e solo il 6% all’esportazione. Mentre per la Spagna, spietata concorrente, il 57% della distribuzione è destinata all’esportazione, il 21% al consumo interno e il restante 22% all’industria di trasformazione (dati Ismea, Istituto di Servizi per il Mercato agricolo Alimentare, triennio 2004-2006).
“Il basso valore d’esportazione è legato alla perdita di competitività dovuta al fatto che spesso la qualità e l’immagine del nostro prodotto risultano carenti e poco valorizzate”, ci spiega Liliana, una signora alta e distinta, moglie di Nino nonché presidente della cooperativa. Con convinzione ci indica quelle che secondo lei potrebbero essere le soluzioni per questa crisi. “Bisognerebbe promuovere l’arancia rossa in una logica Igp (Indicazione geografica protetta, ottenuta nel ’97) e incrementare la quantità prodotta per ridurre l’incidenza dei costi fissi. Controllare la nostra offerta e migliorarla, ottimizzare l’impiego della mano d’opera, chiedere l’abbattimento dei prezzi dei fertilizzanti, dei carburanti e dei trasporti, perché ciò indurrebbe ad una maggiore competitività del nostro prodotto”. Poi aggiunge: “Gli istituti di credito non hanno agevolato i piccoli e medi imprenditori che, scoraggiati dagli alti tassi d’interesse e dalla mancata concessione di fidi, preferiscono non indebitarsi, a svantaggio della propria capacità produttiva”.