Mafia in Comune, risponde chi ha scelto i candidati Catanoso: «Bagaglio di voti conta più dei controlli»

«Responsabilità politica» e partiti con «scarsi anticorpi» per difendersi dalle infiltrazioni mafioseSono passaggi presi dalla relazione firmata da alcuni deputati della commissione regionale antimafia e inviata all’omologa commissione nazionale. Il documento punta il dito contro otto consiglieri comunali catanesi. Alcuni di questi – dichiarava Nello Musumeci, a capo della commissione dell’Ars -, durante le elezioni «avrebbero ottenuto il sostegno di ambienti malavitosi. Alcuni addirittura parenti e familiari di pregiudicati». Parentele che, in certi casi, non sono state evidenziate, come avrebbero invece dovuto, nell’autocertificazione antimafia che ogni candidato ha presentato. Tuttavia, le parole e i toni utilizzati nel testo ampliano il coinvolgimento, almeno a livello morale e politico, pure a partiti e movimenti che hanno compilato le liste elettorali. Tutti i responsabili e coordinatori degli schieramenti politici di cui fanno parte i consiglieri coinvolti sono stati contattati da MeridioNews, ma non tutti hanno voluto rispondere sull’argomento.

«Se nessuno di questi nomi ha un
procedimento penale in corso, di che parliamo?» esordisce al telefono l’ex coordinatore provinciale del Pdl Basilio Catanoso. Tra i nomi dei consiglieri catanesi finiti sotto la lente d’ingrandimento della commissione regionale antimafia c’è pure quello di Riccardo Pellegrino, eletto nelle fila del Popolo delle Libertà e fratello di Gaetano Pellegrino, accusato di essere uomo vicino al boss Nuccio Mazzei. «I partiti hanno la piena responsabilità politica di candidare un nome piuttosto che un altro – spiega Catanoso – Ma se sono stati i candidati a violare la legge, devono pagare anche loro». Sulla formulazione delle liste elettorali, «spesso si privilegia il bagaglio di voti che il candidato porta, piuttosto che la trasparenza – ammette il politico – Ma questo non è mai successo quando a fare gli elenchi sono stato io». Mentre riguardo alla prossimità familiare dei candidati con pregiudicati ed esponenti mafiosi, come nel caso di Pellegrino, precisa: «La responsabilità dei crimini non si tramanda di generazione in generazione. Altrimenti torniamo ai tempi delle purghe, di Hitler e di Stalin». «Serve solo maggiore attenzione nei controlli», conclude, prima che i nomi vadano alle elezioni, «perché poi la gente vota chi vuole».

Francesco Marano è stato il responsabile delle liste Patto per Catania e Primavera per Catania, a sostegno del primo cittadino Enzo Bianco, nelle quali sono stati eletti tre consiglieri nominati nella relazione, su cui i deputati Ars manifestano dubbi ma nessuna prova: Salvatore Spadaro, Alessandro Porto e Francesco Petrina. «Sull’argomento responsabilità politica non ho nulla da dichiarare – dice – Mi attengo a quanto scritto dal sindaco nel comunicato diffuso dal Comune». «Sono il primo a chiedere con forza alla Commissione antimafia e alla magistratura catanese che facciano al più presto piena luce – commentava ieri Bianco -. Bisogna tutelare le istituzioni così come le persone che non hanno commesso alcun reato né azioni moralmente errate».

A sostenere Raffaele Stancanelli nella corsa a sindaco, all’interno della liste Tutti per Catania, c’era Salvatore Giuffrida: un altro dei consiglieri citati nella relazione. «Non lo conosco e non sono a conoscenza della vicenda – sostiene l’ex primo cittadino di Catania – In generale, dico che le responsabilità sono personali, ma i partiti dovrebbero controllare meglio». I candidati a suo sostegno, del resto, «hanno tutti dovuto presentare il casellario giudiziale e il certificato sui carichi pendenti», spiega il deputato regionale di Forza Italia Marco Falcone, che ha contribuito a costruire le liste dei candidati. «Abbiamo invitato Vincenzo Castelli a non candidarsi. Una scelta presa in accordo con il diretto interessato», continua Falcone. Castelli, ex consigliere comunale ed ex presidente della commissione Tributi, è stato accusato – e poi assolto in primo grado e appello – di essere un prestanome della famiglia Santapaola. Il deputato si sofferma anche su Pellegrino: «Pur non avendo responsabilità potrebbe autosospendersi dal partito, per potersi difendere con maggiore serenità». «Il documento della commissione lascia molta amarezza», replica Claudio Corbino, coordinatore delle liste civiche a supporto di Stancanelli. 

A sostenere il precedente primo cittadino c’era anche la lista Grande Catania, sostenuta dall’ex leader dell’Mpa Raffaele Lombardo. Si tratta della lista che ha portato al senato cittadino Maurizio Mirenda. «Certo che lo conosco – risponde a MeridioNews – Vuole che Raffaele Lombardo non conosca un consigliere comunale di Catania? Li conosco tutti. Ma non mi sono mai occupato di fare le liste». «Io quei due consiglieri li avrò visti una volta sola – aggiunge Corbino – Mi dispiace che lo sforzo di trasparenza fatto all’epoca non sia stato del tutto vincente».

A chiedere di esprimersi solo dopo eventuali indagini giudiziarie e non politiche è Valeria Sudano, deputata Ars tra le fondatrici di Articolo 4. Movimento in cui milita il presidente della sesta municipalità etnea Lorenzo Leone, tra i principali nomi coinvolti nella relazione a causa del fratello Gaetano Leone, condannato per mafia. «Leone è una persona perbene. L’ho sentito ieri e mi ha confermato di aver preso le distanze dal fratello – racconta Sudano – Con lui non ha rapporti da oltre vent’anni». L’importante, per la deputata regionale, è il lavoro svolto ogni giorno sul territorio. E se sull’autocertificazione antimafia del candidato – che non riportava la discussa parentela – «non sono certa che ci si riferisca anche ai fratelli, e non solo ai genitori», dice; riguardo alla responsabilità politica risponde: «Articolo 4 non ne ha, abbiamo accertato che Leone non avesse carichi pendenti con la giustizia, così come chiesto dalla prefettura».

Altro nome citato nella relazione è infine quello di una consigliera: Erika Marco, sostenuta da Il Megafono. Inserita nel documento a causa della Icomit srl, società rappresentata dallo zio e che ha tra i soci Anna Gulisano, cognata di Giovanni Pantellaro, pentito del clan Cappello. Il responsabile catanese del partito, Giuseppe Caudo, sostiene di non conoscere bene gli atti, ma riguardo al suo movimento risponde: «Chiediamo a tutti i nostri candidati un certificato che attesti eventuali carichi pendenti». Mentre, sulle contiguità familiari con pregiudicati, afferma: «Non so se la politica abbia gli strumenti adatti per controllare, considerato che la relazione tocca esponenti di ogni schieramento». Eppure non declina le responsabilità: «I partiti devono fare di più. Dovrebbero stare con radici ben piantate e antenne dritte». Inoltre, se i fatti denunciati dalla commissione regionale venissero accertati, «non potranno negare le loro responsabilità». E, prima di chiudere il telefono, confessa: «Io a Catania non accetto più nemmeno un caffè, perché non so mai chi è la persona che me lo offre». 


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