Il conto delle vittime della strage di ieri sera continua a salire. Molti i catanesi che, per lavoro o per viaggio, si trovano nella capitale francese. «Ero già stata al Bataclan con gli amici», ricorda Silvia. E nella città etnea il dibattito si divide tra chi dice «poteva succedere a noi» e chi si lancia in invettive contro i migranti
Gli attentati a Parigi, il racconto dei catanesi «È stato un massacro senza senso e terribile»
«Viene la pelle d’oca a pensare che a cinque minuti da casa, in un posto dove ero già stata con gli amici, si è svolto un massacro senza senso e così terribile». Silvia, originaria di Catania, vive da qualche mese a Parigi. L’appartamento della giovane si trova a pochi passi dal Bataclan, il locale nel quale i terroristi hanno iniziato a sparare sulla folla che assisteva a un concerto. Solo uno dei sette attentati portati a termine nella serata di ieri nella capitale. I numeri ufficiali al momento si fermano a 127 morti – una stima non definitiva – e un centinaio di feriti gravi.
«Sono veramente esterrefatta – racconta la giovane a MeridioNews -. Ieri sera ero già a letto, sentivo l’eco delle sirene, ma non pensavo fosse accaduto tutto questo». Poi parla del clima che si respira nella capitale francese, dopo la strage a Charlie hebdo dello scorso 7 gennaio: «Ci si sarebbe aspettato qualcos’altro ma non sette attentati in contemporanea!»
«Sbigottita, incredula, terrorizzata ma anche reattiva e pronta a dare soccorso e ospitalità a coloro che avevano l’appartamento all’interno del perimetro controllato dalle forze dell’ordine». Così Biagio, nato a Comiso ma residente per anni a Catania prima di trasferirsi a Parigi, descrive la città in quei momenti terribili e concitati. «Mi trovavo sulla linea 3, in metropolitana, alle 22.40 e stavo rientrando a casa dopo aver sentito le prime notizie», afferma. «Le stazioni metro chiudevano una dopo l’altra, senza dar dettagli su cosa stava succedendo sopra le nostre teste. Poi, appena rientrato, ho visto le immagini agghiaccianti in tv e sul web. Un grande dolore». Il giovane vive nel ventesimo arrondissement, «non lontano dagli avvenimenti». Adesso c’è «molto silenzio, si cerca di capire ma c’è anche un grande sforzo per tornare alla normalità, restare in piedi, non farli vincere cedendo al terrore – precisa -. Parigi è forte, è stata ferita al cuore ma rimane in piedi».
Piero, anche lui di origini etnee, lavora come steward di Air France. Vive più lontano dal teatro delle stragi, nel tredicesimo arrondissement, e descrive il clima surreale a poche ore dagli attentati. «Sembra un giorno di vacanza, le strade mezze vuote», spiega. «Hanno detto di restare a casa se non si hanno validi motivi per uscire». Piero adesso si sta recando in aeroporto «con grande anticipo nel caso in cui ci fossero controlli e si perdesse tempo per strada, ma la circolazione è fluida».
«Mi hanno chiesto di dove fossi. Quando ho risposto che sono italiana mi hanno detto: “Da voi si sta bene, non ce ne sono attentati perché non li lasciate entrare“». Noemi si è trasferita un anno e mezzo fa dalla Sicilia. «Le parole degli appartenenti al Front National non sono state risucchiate dalla spirale del silenzio», riflette riferendosi ai commenti del partito di destra guidato da Marine Le Pen. «La città è deserta, le metro sono vuote, ma fra chi viaggia si parla di ieri notte», dice. «Chi si trovava fuori nell’area interessata è stato concretamente impossibilitato a raggiungere la propria abitazione – continua – A quest’ultimi, solo alle 4 del mattino sono state date indicazioni per poter uscire dai locali in cui sono stati accolti e rincasare. Questo è quanto accaduto a mia sorella, arrivata proprio ieri a Parigi per questioni lavorative». L’invito ai residenti è stato «mettere a disposizione le proprie case per ospitare chi fosse fuori, abbiamo scritto su svariati social indicando la nostra fermata metro per dare così la possibilità di trovare accoglienza». Dopo quanto successo anche a gennaio «la sensazione di paura è certamente più acuta e ancora adesso diverse stazioni sono chiuse».
L’allerta è altissima in Francia così come in Italia. A Catania è stato convocato in prefettura il comitato provinciale ordine e sicurezza pubblica. Nel pomeriggio, alle 18, Cigil e Anpi hanno indetto un sit-in di solidarietà. In città, nelle conversazioni dei catanesi nei bar e sugli autobus, l’argomento di discussione è solo uno. «Ci pensi? Poteva succedere anche a noi. Ieri eravamo a ballare», mormora una giovane. Guarda il fidanzato, che assieme a lei ricorda la serata precedente passata assieme ad alcuni amici. «Come stavano facendo loro», i coetanei francesi al momento senza identità.
«L’attentato a Charlie Hebdo non lo hanno messo. Questo di sicuro ci sarà». Un gruppetto di maturandi davanti a un bar si chiede se la strage di ieri possa fare parte della rosa di temi proposti all’esame di maturità. «Stavolta ci sono stati troppi morti – concorda una giovane -. Dai, per forza lo mettono». E la comitiva si lancia in una discussione sulla validità del numero di vittime come parametro per essere inseriti tra le tracce ministeriali. Davanti alla stazione della metropolitana una donna sfoglia il giornale. «Ecco, ecco! Terroristi», sbotta. «Ce li abbiamo dentro casa e oggi che succede? – chiede girando velocemente le pagine -. Ne arrivano altri 300. Hanno fatto bene a chiudere le frontiere ieri», asserisce categorica, riferendosi alle prime misure di sicurezza imposte dal presidente François Hollande.
Il treno della Circumetnea si ferma al capolinea, al Borgo. Ad attendere la corsa diretta a Riposto ci sono tre giovani migranti. Confabulano tra loro in arabo. A loro si accosta un anziano appena sceso dalla vettura che li squadra dalla testa ai piedi. Si ferma e fa un sospiro: «Semu tutti sutta a stu cielu. Sulu u Signuruzzu ci po». Poi con passo malfermo si allontana dai binari.