Oggi si celebrano i 50 anni del cimitero militare germanico di Motta Sant'Anastasia. Dove è sepolto il campione di salto in lungo che, alle Olimpiadi di Berlino del 1936, diventò amico di un atleta afroamericano. E segnò così la sua condanna a morte. Arruolato nella Seconda guerra mondiale, morì nel 1943
Long e Owens, storia degli avversari-amici A Motta la tomba del nazista che sfidò Hitler
Sepolti alle porte di Catania, nel piccolo cimitero di Motta Sant’Anastasia costruito 50 anni fa, riposano i resti di un soldato tedesco di nome Ludwig Luz Long. La sua storia, per quanto incredibile, appartiene a quella fascia di racconti sacrificati all’immagine di insieme. Persa tra le ferite della storia, come una dissolvenza tra un fotogramma e un altro.
Alle Olimpiadi di Berlino del 1936, Luz Long rappresenta non soltanto la speranza tedesca di una medaglia d’oro nel salto in lungo (a quel tempo chiamato ancora broad jump), ma è anche il simbolo della superiorità ariana della Germania nazista. Nato a Leipzig, alto, snello ma muscolare con capelli biondi ed occhi azzurri, Lutz Long è il perfetto veicolo di propaganda per i malati ideali nazisti di Hitler e Goebbels. A incrociare la sua strada sarà l’infinito talento dell’afroamericano James Cleveland Owens, detto Jesse. Per quanto Luz Long sia senza dubbio un ottimo atleta, la sua fama e le sue capacità atletiche non sono neanche paragonabili a quelle di Jesse Owens.
Nel periodo precedente l’apertura dei giochi olimpici berlinesi, alti ufficiali nazisti arriveranno a dichiarare la loro aperta sorpresa riguardante il fatto che gli Stati Uniti facessero gareggiare atleti considerati di una razza inferiore per rappresentarli alle Olimpiadi. Quindi non è difficile immaginare come Jesse Owens (l’atleta che non fu invitato a stringere la mano né di Hitler, né di Roosevelt) arrivasse all’appuntamento berlinese carico di molte pressioni. Pressioni che probabilmente gli giocano un brutto tiro, perché durante la competizione berlinese, nel turno di qualificazione per la finale, l’imbattibile Jesse Owens salta due nulli. Uno in più ed è eliminato dalla competizione. Mentre Luz Long, suo avversario diretto, non solo salta la misura per qualificarsi alla finale al suo primo tentativo, ma inoltre batte il precedente record del mondo.
E a questo punto accade qualcosa che non doveva accadere. Alla vigilia del terzo salto Jesse Owens riceve aiuto dall’ultima persona che lui possa immaginare. Che chiunque possa immaginare. Luz Long si avvicina a lui, si presenta e gli dà un suggerimento: «Di sicuro tu hai la misura per la qualificazione nelle tue gambe. Invece di saltare al limite del nullo, marca un segno dieci centimetri prima del limite, così sarai sicuro di qualificarti». Owens segue il suo consiglio.
Durante la finale, l’afroamericano Jesse incanta gli spettatori tedeschi dello stadio olimpico di Berlino (come rappresentato nel capolavoro di Leni Riefenstahl, Olympia, del 1938). Batte quattro volte il precedente record del mondo e vince la medaglia d’oro relegando l’amico Lutz ai margini della storia. Come una dissolvenza. Long sarà il primo a congratularsi con Owens e i due, sotto gli occhi increduli di Hitler, lasceranno lo stadio a braccetto. Alla fine delle Olimpiadi Jesse tornerà a casa con un totale di quattro medaglie d’oro.
Jesse Owens e Luz Long resteranno amici tramite corrispondenza per alcuni anni. Sino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Mentre Jesse continua la sua carriera d’atleta (lavorerà brevemente per il governo americano, ma non lascerà mai il territorio nazionale), Luz viene reclutato nella Wehrmacht e spedito in zona di guerra. Allo sbarco degli anglo-americani in Sicilia il 9 luglio del 1943, prima breccia degli Alleati in quella che veniva definita da nazisti e fascisti «la fortezza Europa», il tedesco viene mandato in prima linea in Sicilia, a proteggere l’aeroporto di Biscari, che i suoi abitanti ancora chiamano Acate, dal fiume che scorre nei pressi. Viene ferito in combattimento il 10 luglio e muore pochi giorni dopo, il 14 luglio, nell’ospedale da campo inglese. Impossibile non vedere l’ombra della vendetta nella decisione di mandare un sei volte campione nazionale, due volte medaglia di bronzo europea e vice campione olimpico in prima linea. Mal digesti da parte di Hitler e del suo entourage quell’abbraccio, quella stretta di mano e soprattutto quell’aiuto a quello che consideravano «l’inferiore nero».
Anni dopo, quando Jesse Owens ritornerá a Berlino a trovare Kai Long, figlio di Luz, dichiarerà: «Tutto l’oro di cui sono fatte le mie coppe e le mie medaglie non vale l’amicizia che a quel tempo ebbi con Luz». Nel 1936 a Berlino, in quel palcoscenico internazionale che sono i giochi olimpici, l’amicizia tra Luz Long e Jesse Owens era e resta il più chiaro esempio di come quella guerra che di lì a tre anni avrebbe sacrificato le vite di milioni non aveva alcun senso.
Al cimitero militare di Motta Sant’Anastasia l’unica cosa a ricordare Luz Long è il suo nome scritto su una piastra metallica, insieme a quello di molti altri soldati tedeschi seppelliti nella stessa fossa comune. Per un’amicizia che non doveva esistere, in una guerra che non doveva accadere. Luz Long non era solo un ottimo atleta, ma anche una persona di grande intelligenza. Laureato in Giurisprudenza, ebbe brevemente il tempo di esercitare prima che la guerra cambiasse il destino di tutti. Sapeva cosa quell’amicizia significava, in quel tempo, in quel mondo.
Scrisse all’amico Jesse un’ultima volta, inviandogli una preghiera. «Il mio cuore mi dice che questa è forse l’ultima lettera della mia vita. Se così è, ti prego di fare una cosa per me. Quando la guerra sarà finita, per favore vai in Germania, trova mio figlio e raccontagli di suo padre. Raccontagli dei tempi in cui la guerra non ci divise e raccontagli che le cose possono essere differenti tra uomini in questo mondo.
Tuo fratello, Luz».
Ricerche di Thomas Cutting