Nel giorno in cui Palermo ricorda don Pino Puglisi il presidente del centro fondato dal parroco antimafia che ha sfidato Cosa nostra a Brancaccio lancia il suo duro atto d’accusa. «Un anno fa consegnato a Renzi il progetto per riqualificare i tesori del quartiere, ma ancora nulla è stato fatto». Nessuna risposta nemmeno da Comune e Regione
L’antimafia e il cattivo esempio delle istituzioni Artale: «Ad uccidere oggi sono mala burocrazia e Stato»
Tutto tace. A un anno dalla consegna al premier Matteo Renzi del progetto, di “Brancaccio 2.0” non c’è traccia. L’iniziativa messa a punto dal Centro di accoglienza Padre Nostro, fondato dal beato padre Pino Puglisi, dalla II Circoscrizione, dalla parrocchia e dalla scuola intitolata al parroco ucciso da Cosa nostra 22 anni fa, si è arenata. «Uno si aspetta che a contrastare la propria azione sia la mafia, non certo lo Stato. Invece succede che possano trascorrere anche tre anni per una pratica: ecco come ti uccidono le istituzioni». Maurizio Artale, presidente del Centro di accoglienza Padre Nostro, lancia il suo duro atto d’accusa. A politica, istituzioni e mala burocrazia.
Nel giorno in cui Palermo ricorda il parroco antimafia, che ha sfidato Cosa nostra a Brancaccio, regno dei fratelli Graviano, per Artale non ci può essere spazio per la solidarietà di carta. «La legalità si pratica ogni giorno e noi lo facciamo da 22 anni sul territorio – dice a MeridioNews -. A testimoniare l’impegno antimafia sono i fatti, le azioni di chi combatte quotidianamente l’illegalità». È arrabbiato Maurizio Artale. Una copia del progetto, che mira a una mappatura dei tesori del territorio per riqualificarli e valorizzarli, era stata consegnata brevi manu al presidente del Consiglio. Esattamente un anno fa: il 15 settembre dello scorso anno. Il 28 ottobre e il 12 dicembre del 2014 era arrivato anche il sollecito via mail, ma senza successo. Né più fortuna hanno avuto gli appelli fatti al presidente della commissione Antimafia, Rosi Bindi, al sindaco e al prefetto di Palermo, rispettivamente Leoluca Orlando e Francesca Cannizzo, e a una sfilza di assessori, deputati, funzionari e professori.
«L’idea progettuale è stata applaudita da tutti – racconta -, in tanti si sono affrettati a dire che avrebbe scritto una pagina nuova nel quartiere». Così giù elogi e dichiarazioni d’intenti, alle quali, però, non è seguito nessun impegno. «A distanza di mesi non abbiamo ricevuto alcuna risposta concreta dalle istituzioni» denuncia amaro Artale. A nessun livello.
Eppure per il presidente del Centro Padre nostro, che negli anni per la gente del quartiere è divenuto un vero e proprio presidio di legalità, l’iniziativa potrebbe «far diventare produttivi i beni presenti nella seconda circoscrizione». A costo zero per le casse del Comune e della Regione perché «si potrebbero usare i fondi europei – spiega Artale -. Inoltre potrebbero essere gestiti dai detenuti, sarebbe un modo per dare una seconda chance a chi ha sbagliato e vuole ripagare il suo debito con la giustizia. Invece, al di là delle parole di circostanza e delle pacche sulle spalle non si è mosso nulla».
Anzi. «Le istituzioni sempre più spesso diventano un cattivo esempio, dentro i palazzi il malaffare cresce in maniera esponenziale» prosegue il presidente del Centro Padre nostro. I recenti fatti di cronaca, le notizie di indagini che stanno facendo tremare il tribunale di Palermo, gli scandali politici infliggono «un colpo mortale alla nostra azione, perché le istituzioni che falliscono danneggiano il percorso di legalità che da anni tentiamo di portare avanti nel quartiere». Per fortuna nel corso del tempo per i poveri di Brancaccio il centro fondato da don Puglisi è diventato «un punto di riferimento, un presidio a cui rivolgersi e bussare per trovare soluzioni e aiuto per i problemi quotidiani, quegli stessi per i quali prima si invocava l’intervento del boss di zona».
Alle istituzioni nel giorno del 22esimo anniversario dell’uccisione del prete buono Artale lancia un appello. «Per combattere la mafia non servono timbri e bolli di legalità, né attestati di solidarietà e pacche sulle spalle. Occorre, al contrario, concretezza e una burocrazia efficiente, in cui chi sbaglia sia chiamato a pagare per gli errori commessi, perché un apparato farraginoso danneggia innanzitutto i poveri e i più deboli». Il Centro da oltre un anno attende di incassare i fondi stanziati dalla Regione. «Palazzo d’Orleans aveva destinato nel 2014 al centro per le sue attività 750mila euro, poi ridotti della metà. Risorse che oggi non abbiamo ancora visto e che rendono ogni giorno più difficile andare avanti e assicurare i servizi offerti agli ultimi. Lo Stato e le istituzioni che lo rappresentano – conclude Artale – si mettano attorno a un tavolo e dicano cosa vogliono fare e come. Il tempo delle iniziative spot, utili solo a conquistare i titoli dei giornali, è scaduto». Perché nel quartiere che don Pino aveva scelto per la sua sfida a Cosa nostra la vera antimafia è dare un lavoro e da mangiare a chi spesso non ha né l’uno né l’altro.