Si potrebbe riaprire il caso grazie alle parole di Francesco Chiarello, ex estortore del clan di Borgo Vecchio. Il penalista, massacrato a bastonate il 26 febbraio 2010 a due passi dal tribunale, morì alcuni giorni dopo in ospedale
Svolta nell’omicidio dell’avvocato Fragalà Pentito conferma la pista mafiosa
Potrebbe arrivare da un nuovo pentito, Francesco Chiarello, ex estortore del clan mafioso di Borgo Vecchio, la verità sulla morte del penalista palermitano Enzo Fragalà, massacrato a bastonate il 26 febbraio 2010, a due passi dal tribunale, e morto alcuni giorni dopo in ospedale. Il neo collaboratore di giustizia, che gestiva il racket per conto della cosca, avrebbe rivelato agli inquirenti il suo ruolo nella fase preparatoria dell’aggressione e confermato le responsabilità nell’omicidio di Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia e Antonio Siragusa, già arrestati per il delitto nel 2013, e del boss Tommaso Di Giovanni ritenuto il mandante. Il gip, a gennaio scorso, su richiesta della stessa Procura di Palermo, ha archiviato l’inchiesta a carico dei tre presunti killer, peraltro già scarcerati dal tribunale del riesame, del capomafia, che resta detenuto, e di altri indagati.
Nell’ordinanza che ha chiuso il caso il giudice ha parlato di «un quadro indiziario frammentario, equivoco e complessivamente insufficiente». Ad indicare agli investigatori la pista mafiosa del delitto fu la collaboratrice di giustizia Monica Vitale. La Vitale aveva raccontato che a volere l’aggressione era stato il boss Di Giovanni e che, in questo modo, si sarebbe voluto punire il penalista per le avances fatte alla moglie di un detenuto, Maurizio Russo. Russo avrebbe chiesto al cugino, Santino, di rivolgersi al capomafia per vendicarsi. La Procura, sulla base delle rivelazioni della pentita, arrestò Francesco Arcuri, Salvatore Ingrassia e Antonio Siragusa, ritenendoli esecutori materiali del delitto, e iscrisse nel registro degli indagati Tommaso Di Giovanni, Gaspare Parisi, Giuseppe Auteri, Antonino Abbate e Giovan Battista Bongiorno, quest’ultimo per favoreggiamento.
Secondo la ricostruzione della Procura, alle 19.09 del 26 febbraio 2010, Siragusa, Ingrassia e Arcuri si incontrarono a Borgo Vecchio per definire i dettagli operativi del delitto (nelle loro conversazioni intercettate si parlava di andare da qualche parte con una moto e un bastone di legno); alle 20.23 le immagini estrapolate da alcuni impianti di video-sorveglianza in via Nicolò Turrisi, luogo dell’omicidio, documentarono la presenza a pochi metri dallo studio della vittima di Siragusa e Ingrassia.
Alle 20.26 Ingrassia ricevette due telefonate, ulteriori conferme della sua presenza in via Nicolò Turrisi. Alle 20.38 l’avvocato Fragalà uscì dal proprio studio e andò verso il garage. Un minuto dopo venne aggredito a colpi di bastone da un uomo di 30-35 anni alto 1,85 cm circa che fuggì, poi, a bordo di una moto SH300 bianca con un complice.
L’aggressore venne individuato in Arcuri. Alle 20.48 Siracusa e Ingrassia furono ripresi dalle telecamere mentre si allontanavano dal luogo del delitto. La ricostruzione dei magistrati, però, è stata messa in dubbio da una serie di indagini difensive che, anche attraverso una perizia fonica e l’acquisizione di un video girato dalla polizia nell’ambito di un’altra indagine, hanno indotto il gip ad archiviare. Una decisione, quella del giudice, che potrebbe essere rivista – la procura starebbe per chiedere la riapertura dell’inchiesta – alla luce delle rivelazioni di Chiarello che ribadisce la responsabilità degli indagati, ma limita il proprio ruolo alla fase preparatoria dell’agguato. Circostanza, questa, che non convince gli investigatori fino in fondo.