La coppia cinquantenne è finita in un incubo da quando, nel 2010, l'uomo è stato licenziato dall'istituto di vigilanza privata di cui per 30 anni è stato dipendente. L'angoscia e la vergogna hanno spinto i due anche al pensiero di farla finita. «Bussiamo a cento porte, nella speranza che una si apra»
Rosario e Maria, a 50 anni senza lavoro né casa «Dormiamo in macchina, siamo peggio dei barboni»
«Dormiamo in macchina, nella sciara, dove nessuno ci può vedere. La mattina andiamo a casa di mio figlio per darci una sciacquata. La verità è che siamo diventati peggio dei barboni». Da una settimana Rosario Puglisi e Maria Rapisarda, rispettivamente 54 e 51 anni, coppia con alle spalle 32 anni di matrimonio, non ha più una casa. Prima il proprietario dell’abitazione in cui vivevano, nel quartiere di Barriera di Catania, gli ha fatto portare via i mobili, poi ha tagliato la luce, infine l’acqua. Costringendoli, di fatto, ad andare via. Da un anno non riescono a pagare i 370 euro di affitto. Da quando a Rosario, licenziato nel 2010 dall’impresa per cui ha lavorato 30 anni come guardia giurata, è finita anche la mobilità. Senza gli 850 euro al mese garantiti dall’ammortizzatore sociale, il conto è rimasto a secco.
Da allora marito e moglie sono finiti dentro un incubo, in cui persino la pistola – rimasta per tanti anni strumento di lavoro inutilizzato – in alcuni momenti è potuta sembrare un’alternativa migliore. Ci ha provato Maria a farla finita, ma l’arma era scarica. Poi un angelo di nome Loredana, arrivato nelle loro vite nelle ultime settimane, li ha convinti a consegnarla al locale commissariato e a venderla. Rosario e Maria hanno bussato alla porta dell’assessore alle Politiche sociali del Comune di Catania, Angelo Villari, e hanno presentato domanda per avere un alloggio popolare. Ma in attesa di ricevere risposta, dormono nella Fiat Punto, ultimo tetto disponibile rimasto. Nel portabagagli qualche pentola e le buste coi vestiti. Sul sedile posteriore un lenzuolo bianco per coprirsi.
«Fino a dieci giorni fa con noi vivevano uno dei miei figli e mio nipote – racconta Maria – il primo è andato via quando ci hanno buttato fuori e non lo sento da allora, con il piccolo, figlio di un’altra mia figlia, continuo a trascorrere i pomeriggi. Quando passiamo davanti all’abitazione dove abitavamo, lui mi tira per il braccio: “Nonna, perché non torniamo nella tua casa?”. E io cosa gli posso risp…?». Per finire la frase a Maria manca il fiato, spezzato dalle lacrime e da un senso di vergogna che accomuna tante situazioni simili alla sua. Di persone non più giovani, abituate per una vita intera a non dover chiedere, a bastare a se stessi e ora costrette a informarsi sulla mappa dei posti che a Catania offrono un pasto gratuito.
Le difficoltà lavorative per Rosario iniziano nel 2010. Messo in mobilità, cioè licenziato, dopo 25 anni di lavoro per le società di Silvio Santangelo, titolare di ditte che negli anni hanno modificato nome (da Sud Veritas a Veritas), ma non business: quello della vigilanza privata. Nonché presidente fino al 2014 di Federsicurezza, associazione di categoria all’interno di Confcommercio. «Nel 2010 ha messo in mobilità 80 persone – racconta Rosario – molti, grazie a raccomandazioni, oggi lavorano in altri istituti di vigilanza. Ma io non conosco nessuno. Ho mandato decine di curriculum», precisa tirando fuori un mazzo di ricevute di ritorno, che sono solo una piccola parte della mole di documenti, certificazioni, scrupolosi annuari con tutti i contributi versati, che l’uomo conserva in un carpettone. Pericolosa abitudine per chi si sente disperato e in qualche modo perseguitato, quella di conservare tutto in maniera quasi maniacale, ha attestato uno psichiatra che lo ha visitato.
A Rosario mancano otto anni di contributi per ottenere una pensione. Tecnicamente è un esodato. Ma già adesso, a causa di una complicata forma di diabete, potrebbe essergli riconosciuta un’inabilità al lavoro che gli permetterebbe di mettere in tasca una pensione minima, ma in grado di garantire a lui e sua moglie un tetto sulla testa. La domanda, attraverso l’Inps, è stata presentata da poco. «Bussiamo a cento porte, sperando che una si apra – spiega l’uomo – il Comune, tramite l’assessore Villari, aveva dato disponibilità a pagare 250 euro per un mese di affitto, ma tutti i privati a cui mi sono rivolto mi chiedono due mesi di caparra. Per noi è impossibile, non ci resta che continuare a dormire in macchina. Ma non so – conclude – quanto riusciremo a resistere in queste condizioni».