Il folle mercato dell’acqua in bottiglia

Tre anni fa sono rimasto affascinato dal fenomeno dell’acqua Fiji. Non riuscivo a credere che fosse economicamente vantaggioso spedire pesanti bottiglie d’acqua da un’isola del Pacifico per placare la mia sete in Massachusetts. Per capirne di più mi sono informato sulle spedizioni di container e ho passato un sacco di tempo a pensare alla mobilità relativa di bit, atomi e persone. E non sono l’unico.

Charles Fishman ha scritto su Fast Company un lungo articolo sull’acqua in bottiglia, in cui se la prende principalmente con la Fiji. Fishman è interessato all’aspetto etico di un mercato in cui il prodotto venduto ha un notevole impatto ambientale ed è sostanzialmente indistinguibile dall’acqua di rubinetto. In media ogni cittadino degli Stati Uniti beve nove litri di acqua minerale al mese. Più della quantità consumata di caffè, latte e birra.

Il risultato economico è un’industria da 16 miliardi di dollari in forte espansione che tuttavia si basa su una serie di assurdità. Pepsi e Coca-Cola, che producono rispettivamente Aquafina e Dasani, non usano neppure acqua di sorgente. Usano acqua di rubinetto e la sottopongono a un processo di filtraggio per osmosi che consuma moltissima energia.

E forse è perfino inutile: secondo Fishman, la maggior parte dei consumatori non riesce a distinguere l’acqua di rubinetto dall’acqua in bottiglia quando vengono presentate negli stessi contenitori e alla stessa temperatura.

Più telefonini, meno birra
Fishman offre alcuni interessanti spunti di riflessione: “La metà del prezzo di una bottiglia da un dollaro e 29 centesimi va al dettagliante. Fino a un terzo va al distributore e al trasporto. Un altro 12-15 per cento è costituito dal costo dell’acqua, della bottiglia e del tappo. Rimangono circa dieci centesimi di guadagno”.

Pablo Päster, scrivendo su Triple Pundit, fa un calcolo molto dettagliato per dimostrare che produrre e importare una bottiglia dalle Figi costa intorno a 0,22 dollari, ma comporta un impatto ambientale di circa 250 grammi di gas serra per ogni bottiglia. Inoltre sottolinea che occorrono circa cinque litri d’acqua per produrre una bottiglia in polietilene.

Sempre in tema di bevande, la blogger kenyana Ory Okolloh cita un articolo di Business Daily Africa sullo straordinario successo di Safaricom. L’azienda di telefonia mobile l’anno scorso ha incassato profitti per 17 miliardi di scellini (circa 187 milioni di euro). Sapete chi è danneggiato dall’aumento dei cellulari?

La Coca-Cola. I produttori di bibite gassate hanno scoperto che gli adolescenti preferiscono usare i loro soldi per comprarsi la ricarica del cellulare piuttosto che per prendersi qualcosa da bere. Lo stesso fenomeno ha colpito settori come le bevande alcoliche e perfino la stampa, perché i lettori ormai possono ricevere le ultime notizie direttamente sul telefonino.

Io stesso, in Ghana, ho assistito a un calo delle vendite di birra dopo l’arrivo di BusyInternet e di altri cibercaffè. Quando la gente ha un reddito limitato, deve fare delle scelte. Più minuti su internet o al telefono, meno bevande. Forse l’iPhone della Apple contribuirà a ridurre le vendite di acqua in bottiglia negli Stati Uniti. Ma ne dubito.


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