Secondo la questura avrebbe dovuto certificare la sua presenza in città tre volte a settimana. Ma dal 2 marzo Massimiliano Salvo - presunto boss dei Cappello, protagonista del caso dell'annacata della candelora degli ortofrutticoli - non andava a siglare i registri. Il suo legale: «Quei decreti sono stati sospesi, è un uomo libero»
Mafia, arrestato il presunto boss Salvo Non rispettava l’obbligo di firma da 15 giorni
Non si è presentato al commissariato di via Teatro Massimo per firmare i registri della polizia. Per 15 giorni Massimiliano Salvo, classe 1982, presunto esponente di spicco del clan Cappello, non ha confermato la sua presenza in città. Per questo è stato arrestato ieri sera dalle forze dell’ordine ed è stato sottoposto ai domiciliari. In attesa del giudizio per direttissima che arriverà domattina. Salvo è figlio dell’ergastolano Giuseppe, storico boss etneo, e fratello del pluripregiudicato Giampiero, attualmente recluso e in attesa di giudizio perché sospettato di essere uno dei killer della strage di Catenanuova, piccolo paesino dell’Ennese macchiato dal sangue nel 2008. Di Massimiliano Salvo si è tornato a parlare in occasione delle ultime celebrazioni per la festa di Sant’Agata, quando la candelora degli ortofrutticoli ha sostato a lungo e ha fatto la tradizionale annacata in via Torre del vescovo, a pochi metri dall’abitazione in cui era già detenuto agli arresti domiciliari. «Quella di ieri è un’accusa infondata», sostiene il suo avvocato, Davide Giugno. Secondo il quale sia la sorveglianza speciale che i domiciliari a carico di Salvo sarebbero stati dichiarati sospesi lo scorso 2 marzo, quando è stato dichiarato fondato un suo ricorso in Cassazione. E per questo, da inizio mese, il suo assistito non avrebbe più dato notizie di sé alle forze dell’ordine.
È la tarda serata di ieri quando gli uomini della polizia di Stato di Catania vanno in casa di Massimiliano Salvo per contestargli l’inosservanza degli obblighi dettati dalla sorveglianza speciale. Che prevedono il dovere di soggiorno nel Comune di residenza e l’impossibilità di uscire di casa prima delle sei del mattino e di tornare dopo le 21. A questi bisogna aggiungere una ulteriore imposizione: quella di andare a firmare in commissariato tre volte a settimana. Tutte misure «disposte in virtù della pericolosità sociale del soggetto», fanno sapere dalla questura. Ma Salvo ieri non si trova in casa. Ci torna solo un’ora dopo, quando viene arrestato dagli agenti. «Ma quei vincoli sono da considerarsi inapplicabili», replica l’avvocato difensore di Salvo. «Devono essere rivisti a breve», continua.
Nel 2010 Salvo esce dal carcere dov’era recluso. È noto alle forze dell’ordine, scrive la questura in un comunicato, «per reati concernenti le sostanze stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati contro il patrimonio, furto e rapina». Ma durante la detenzione gli vengono notificati in carcere altri due provvedimenti di sorveglianza speciale per reati connessi a quelli per cui era detenuto: «Uno nel 2002 e l’altro nel 2003», spiega Giugno. Entrambi validi a partire dalla scarcerazione e della durata di quattro anni totali, ma notificati solo nel 2011. Così, quando Salvo lascia il carcere, deve comunque continuare a risiedere a Catania e a comunicare la sua posizione alle forze dell’ordine fino a giugno 2015. Ma nel 2014 viene stato arrestato nuovamente perché fermato dalla polizia in Campania, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Il tribunale campano di Torre Annunziata condanna Salvo ai domiciliari per questa violazione. In Appello un patteggiamento conferma la reclusione in casa. Ma le cose cambiano poco dopo: «A febbraio 2015 arriva un pronunciamento della corte di Cassazione secondo cui, dopo un lungo periodo di detenzione, i decreti cautelativi devono essere rivisti – spiega il legale – Alla luce di questa sentenza, abbiamo presentato un’istanza di revoca delle misure di sorveglianza del 2002 e del 2003. Istanza che è stata giudicata fondata dal tribunale di Torre Annunziata il 2 marzo». Gli obblighi di Salvo risulterebbero quindi sospesi. Per questo, secondo Giugno, il presunto boss non avrebbe commesso alcuna violazione nel 2014 e così, a cascata, neanche ieri. «C’è una sentenza e dunque quei decreti devono essere ritenuti illegittimi», ripete.
«Al momento è un uomo libero, per questo non è andato a firmare», conclude Giugno. E proprio su questo argomento si attende a breve la decisione del tribunale di Catania. Che dovrà decidere se annullare le misure di sorveglianza oppure confermarle. In quest’ultimo caso, i giudici dovranno pronunciarsi anche sulla nuova violazione, quella certificata ieri. Per domattina alle 9 è fissato il processo per direttissima.