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Un documento del governo condanna le aree interne. Tra «spopolamento irreversibile» e «cronicizzato declino»

Spopolamento, invecchiamento della popolazione e carenza di servizi. Tre aspetti che rappresentano le minacce più importanti per il presente e il futuro delle aree interne. In particolare in Sicilia, dove sono 291 i Comuni che rientrano in questa categoria, il 75 per cento del totale. Con circa due milioni di abitanti che sembrano avere un destino già segnato. Almeno secondo quanto emerge dall’analisi del nuovo Piano strategico nazionale per le aree interne 2021-2027, approvato dal governo di Giorgia Meloni nei mesi scorsi. Un documento di 164 pagine che parte da alcune premesse – più al sapore di speranza, tra colmare il divario digitale, investire nel trasporto pubblico e altro – ma che, alla fine, mette nero su bianco delle preoccupanti conclusioni in termini di prospettive future per queste aree.

Alla base del documento c’è la mappatura delle zone del territorio e l’individuazione dei cosiddetti Comuni polo, cioè quelli che offrono un’articolata offerta scolastica secondaria superiore, un ospedale sede di Emergenza e Urgenza e una stazione ferroviaria di livello «platinum, gold o silver». In Italia, i Comuni che rientrano in questa categoria, con aggiornamento al 2020, sono 241. Il resto dei Comuni italiani, stando al documento, viene classificato in quattro categorie, tenendo in considerazione la distanza, in termini di percorrenza stradale effettiva, proprio dai Comuni polo. Abbiamo così i Comuni classificati come cintura, lontani quasi mezzora (3828 in Italia); i Comuni intermedi, a 41 minuti (1928 in Italia); i periferici, con circa un’ora di distanza (1524) e, infine, quelli ultra periferici, ancora più lontani (382). I municipi che rientrano nelle ultime tre fasce – intermedi, periferici e ultra periferici -, stando al documento, sono la metà dei Comuni italiani e rientrano nelle cosiddette aree interne. Tra questi, la voce più importante è quella del Sud e, più della metà, si trova nelle Isole, Sicilia e Sardegna.

Fatta questa premessa, il documento analizza il declino demografico di queste zone. Al 1 gennaio 2024 risiedevano nelle aree interne poco più di 13 milioni di persone, circa un quarto della popolazione residente in Italia. «Tra dieci anni – si legge – quasi il 90 per cento dei Comuni delle aree interne del Mezzogiorno subirà un calo demografico», con quote ancora maggiori nei Comuni ultra periferici. Il tutto in un contesto di disparità rispetto alle aree interne del centro nord, dove la situazione – seppur in peggioramento – appare comunque migliore. Per tutta l’Italia, almeno fino al 2080, si prospetta un declino fatto di una continua perdita di popolazione. Entro il 2050, per esempio, si scenderà dagli attuali 59 milioni di abitanti a 55 milioni, e fino a 46 milioni nel 2080. Avere più anziani, con una longevità crescente, e meno giovani, secondo il documento, andrà a incidere maggiormente nei territori più deboli. «I dati dimostrano – si legge in un altro passaggio del piano strategico – come le aree interne del Sud e delle Isole siano meno attrattive rispetto alle immigrazioni dall’estero, e come siano tali territori ad alimentare i flussi di mobilità interna verso i grandi centri del Nord».

Ma le vere note dolenti sono quelle che il piano indica nella sezione dedicata agli obiettivi. Senza giri di parole, si legge che «la popolazione può crescere solo in alcune grandi città e, in particolare, in località particolarmente attrattive». Ancora più preoccupante è la voce che, sempre in termini di obiettivi, fa riferimento «all’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile». Stando a quanto approvato dal governo, «un numero non trascurabile di aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa», cioè con una popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, e con uno squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni, «oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività». Il peggio, però, deve ancora arrivare. «Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza», si legge, ma non possono nemmeno essere abbandonate a se stesse. Per gli esperti che hanno redatto il documento, serve «un piano mirato che le assista in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento, in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita».


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