Il giorno della visita dell'ammiraglio Anthony Gaiani alla base Usa di Niscemi si registrarono scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. I primi sostenevano che nel pullmino con gli alti ufficiali ci fossero operai, cosa che violava il patto sancito. I secondi negavano. Oggi da un'informativa della Questura di Caltanissetta si scopre che le cose quel 6 marzo di due anni fa andarono in maniera inattesa
Muos, il quasi incidente diplomatico tra polizia e Marina Usa Il retroscena di uno dei blocchi del comitato delle mamme
Il 6 marzo del 2013 era una giornata particolare per la base statunitense di Niscemi, dove è stato realizzato il Muos. L’impianto satellitare di comunicazione non era ancora stato completato. Da poco il governo regionale di Rosario Crocetta aveva annunciato lo stop ai lavori e a breve ci sarebbe stata la famosa revoca delle autorizzazioni. Quel giorno in visita alla base arrivò da Napoli l’ammiraglio della Marina Usa Anthony Gaiani, insieme ad altre personalità americane. Davanti ai cancelli si registrarono scontri con i manifestanti, in particolare con le mamme No Muos. Adesso sappiamo che quel giorno, da un lato, si è rischiato lo scontro diplomatico tra la polizia di Niscemi e l’ammiraglio, con un confronto verbale che ha raggiunto alti livelli di tensione. E che, dall’altro, gli agenti del commissariato, loro malgrado, hanno mentito agli attivisti. Al centro della vicenda la presenza sul pullman che portava i militari alla base anche di due operai niscemesi. Eventualità non prevista dall’accordo raggiunto nelle settimane precedenti tra comitati e forze dell’ordine, che garantiva l’ingresso solo di personale militare.
La vicenda è ricostruita dettagliatamente in un’informativa della Questura inviata alla procura di Caltagirone l’11 marzo del 2013, cinque giorni dopo i fatti descritti, e allegata agli atti di un processo in corso. La mattina del 6 marzo un pullmino da 15 posti accompagna l’ammiraglio Gaiani, il capitano di vascello Butler Scott, il capitano di fregata Buss Jeffery e il capitano di Corvetta Crumpacker dalla base di Sigonella a quella di Niscemi. Il mezzo è seguito da un’auto con a bordo due operai italiani che si occupano della manutenzione all’interno della base Usa. All’altezza di contrada Stizza, a Niscemi, avviene uno scambio di persone: i due italiani salgono sul pullman, un luogotenente statunitense si mette alla guida dell’auto.
Il commissario Gabriele Presti, che insieme alla Digos di Caltanissetta scorta i mezzi, si avvicina all’autobus per chiedere spiegazioni all’autista e all’interprete del Security Office. I due rispondono che si tratta di una decisione dell’ammiraglio Gaiani. Presti si rivolge quindi direttamente all’alto ufficiale giunto da Napoli e lo prega di far scendere i due italiani dal pullmino per evitare disaccordi con i manifestanti all’ingresso della base. L’ammiraglio non vuole sentire ragioni e sottolinea che è stato autorizzato dal ministro della Difesa italiano, che allora era Giampaolo Di Paola. Il commissario insiste e ricorda a Gaiani che l’ordine pubblico in Italia è di pertinenza del ministero dell’Interno, e che infatti i militari statunitensi si rivolgevano alla polizia, e non all’esercito, quanto si trattava di tutelarli. Ma risultano vani i tentativi di convincere l’illustre ospite che chiude il discorso con un secco: «I Can’t». Non posso.
La carovana procede quindi lungo la strada di campagna che porta fino alla base militare. A circa 150 metri dal cancello d’ingresso il pullman viene bloccato da una trentina di attivisti, in particolare dalle mamme No Muos. Presti si affretta a precedere gli altri mezzi e ad aprire il cancello della base, per velocizzare il più possibile il passaggio. Nel frattempo il luogotenente statunitense parcheggia l’auto dell’operaio, conosciuta a Niscemi, a bordo strada. E qui avviene un’altra anomalia, sottolineata dallo stesso commissario nella sua relazione: «Il pullman inspiegabilmente arresta la sua marcia a 30 metri dal cancello, nonostante i ripetuti gesti dello scrivente (cioè dello stesso commissario ndr) che invita l’autista a proseguire. Tale fermata del mezzo, protrattasi non poco, consentiva ai manifestanti di intervenire».
Sull’autobus, seduto in prima fila accanto al conducente, c’è uno degli operai italiani. I manifestanti lo riconoscono e accorrono per bloccare il mezzo, appoggiandosi sul cofano. Presti, insieme al dirigente della Digos Alessandro Milazzo, prova a convincere gli attivisti che a bordo ci sono solo alti ufficiali delle forze armate Usa. Ma il tentativo di negare l’evidenza non ha buon fine. La tensione sale, le mamme vengono portate via di peso. Quattro di loro finiranno in ospedale per ferite e contusioni e verranno tutte giudicate guaribili in 4 giorni.
La stessa scena si ripete 45 minuti dopo, all’uscita della carovana. Ancora una volta «in maniera anomala», sottolinea il commissario, «il pullman effettua una breve sosta nonostante la strada fosse libera» sia davanti al gazebo delle mamme No Muos, sia, più avanti, dinanzi al presidio permanente, provocando la reazione dei manifestanti che inveiscono contro la carovana.
Quello stesso giorno i due operai niscemesi si recano al commissariato per rendere spontanee dichiarazioni: riferiscono degli insulti che da qualche mese ricevono da parte degli attivisti, del timore per la loro proprietà e la loro famiglia, anche se non hanno ricevuto minacce, e dell’impossibilità di vivere sentendosi perseguitati.
Una ricostruzione che, a distanza di quasi due anni, aiuta a capire il clima che in quei giorni – in cui quasi quotidianamente avvenivano blocchi e si registravano tensioni tra manifestanti e forze dell’ordine – si respirava a Niscemi.