Vivere e lottare da uomini liberi nella terra dell’ ‘ascarismo’

VENTITRE’ ANNI FA IL SACRIFICIO DI LIBERO GRASSI

di Aurelio Angelini

Anche quest’anno, il 29 agosto, i familiari Libero Grassi, per rinnovare una composta e decisa protesta civile per un uomo barbaramente assassinato da Cosa nostra, diventato volto e storia dell’antiracket del nostro Paese, affiggeranno un manifesto, lo stesso di quello che è stato appeso, dalla moglie Pina e dai suoi amici, subito dopo nel luogo del delitto.

La schietta e diretta denuncia fu elaborata pensando cosa avrebbe voluto scrivere Libero per spiegare quel barbaro crimine. Le parole contenute in quel tazebao rimangono di estrema e inquietante attualità: “Libero Grassi, imprenditore e uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti e dall’assenza dello Stato”.

L’omicidio di Libero Grassi venne deciso non solo perché l’imprenditore si era rifiutato di pagare un “pizzo” di 50 milioni di vecchie lire, ma soprattutto perché Cosa nostra voleva eliminare e punire l’imprenditore che aveva osato sfidarla, e che aveva preso in mano una bandiera che non era stata mai impugnata da altri imprenditori e dalle loro associazioni.

Libero Grassi, ribellandosi al racket, a cui erano (e sono) sottoposti imprese e commercianti, era diventando un simbolo nella lotta contro il potere economico e territoriale delle cosche, che fino a quel momento nessuno aveva mai osato impattare frontalmente, con iniziative pubbliche, interviste giornalistiche e televisive.

Fu proprio la denuncia pubblica, la richiesta di un impegno deciso dello Stato e la chiamata ad una generale ribellione, che fece scattare la decisione da parte della mafia di assassinarlo, nonostante le reazioni politiche che avrebbe suscitato il delitto. Ma la mafia si sentiva forte del fatto che poteva contare sulla complicità dei vertici delle associazioni categoriali, in cui sedevano uomini e prestanomi di Cosa nostra e per questo non ebbe esitazione nell’eseguire la sentenza di morte.

Le indagini sul delitto confermarono quanto denunciato da Libero Grassi, e cioè, che il “pizzo” era l’attività privilegiata dalla mafia, non solo per il gettito di denari che riesce a racimolare con l’estorsione, ma soprattutto perché permette ai boss di controllare in modo capillare il territorio e la sua economia.

Questo redditizio asset criminoso inquina l’economia siciliana e del Paese, attraverso la penetrazione e le scalate che le cosche compiono, all’interno dell’economia legale, utilizzando anche la leva dell’usura e rendendo impossibile la restituzione del “prestito”, da parte degli imprenditori, i quali si trovano in breve tempo, prima obbligati a fare entrare la mafia nella struttura societaria e, successivamente, a cedere del tutto l’impresa, come in questi anni la cronaca giudiziaria ci ha raccontato.

Libero era ben consapevole del rischio che correva, ma voleva evitare a tutti i costi di perdere la sua fabbrica: la “Sigma”, che rappresentava la sua vita, il suo presente che voleva vivere con dignità e a fronte alta.

Sono passati ventitre anni da allora e molte cose sono cambiate, anche nel nome e per l’esempio di Libero, ma ancora oggi è forte la presa del “pizzo” nell’economia e nel territorio che continua a strangolare la già fragile economia siciliana, fortemente inguaiata anche per l’assenza di significative politiche pubbliche e a causa dell’incapacità di utilizzare le stesse risorse disponibili, come per i fondi europei, spesi male e solo in parte, come ci ha ricordato il recente report sulla Sicilia che ha presentato Banca d’Italia.

Ricordare Libero Grassi – rinnovando l’atto di accusa contenuto nel manifesto che lo ricorda, con la stessa determinazione che aveva animato la sua battaglia, nella consapevolezza che la strada per affrancarsi dalla mafia è ancora lunga da percorrere – rappresenta l’amore incondizionato che hanno una parte i donne e uomini di questa Terra, che come Libero Grassi vogliono continuare a credere nell’utopia possibile di viverci da uomini liberi.


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