L'ufficio del commissario dello stato, giurisprudenza della corte europea alla mano, ha 'bocciato' la possibilita' data ai comuni dell'isola di gestire il servizio idrico in caso di fallimento dei privati. Problemi seri per il personale delle societa' private del settore fallite
Con l’impugnativa si blocca in Sicilia la gestione pubblica dell’acqua. A meno che non intervenga la Consulta
L’UFFICIO DEL COMMISSARIO DELLO STATO, GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA ALLA MANO, HA ‘BOCCIATO’ LA POSSIBILITA’ DATA AI COMUNI DELL’ISOLA DI GESTIRE IL SERVIZIO IDRICO IN CASO DI FALLIMENTO DEI PRIVATI. PROBLEMI SERI PER IL PERSONALE DELLE SOCIETA’ PRIVATE DEL SETTORE FALLITE
Come abbiamo scritto ieri, l’impugnativa dell’Ufficio del Commissario dello Stato per la Regione siciliana c’è, ma non mette in discussione l’impianto della legge di assestamento di Bilancio 2014, detta impropriamente finanziaria ter. Si salva la traballante copertura finanziaria, compreso il terzo mutuo di 55- forse 60 milioni di euro acceso quest’anno dalla Regione (gli altri due sono il mutuo da quasi un miliardo di euro per pagare le imprese e il mutuo da circa 300 milioni di euro per chiudere il rendiconto 2013). Anche se non mancano le note dolenti.
Tra queste, ad esempio, la parte della legge (argomento che avrebbe meritato di essere affrontato con un disegno di legge organico) che avrebbe consentito ai Comuni di gestire il servizio idrico, là dove le società private sono fallite. Questo aspetto, scrive l’Ufficio del Commissario dello Stato, non è di competenza dei Comuni. Da qui l’impugnativa.
“La norma censurata – si legge nell’impugnativa – finisce, pertanto, per riconoscere ai singoli enti territoriali il diritto di provvedere direttamente alla gestione del servizio idrico attribuendo agli stessi la discrezionalità di scegliere se applicare o meno le regole della concorrenza”.
In realtà – e questo nell’impugnativa si legge, anche se in una formula quasi ‘nobile’ – è l’Unione europea delle banche e della finanza che ha deciso che l’acqua deve diventare oggetto di speculazione. E, di conseguenza, deve restare nelle mani dei privati, alla faccia del referendum italiano del 2011 che, a schiacciante maggioranza, ha stabilito che la gestione dell’acqua, in Italia, deve tornare nelle mani del pubblico.
Con l’espresso richiamo alla “costante giurisprudenza della Corte di Giustizia europea” ci possiamo dimenticare, in Sicilia e nel resto d’Italia, di tornare alla gestione pubblica dell’acqua.
Al grido di “l’Europa lo vuole”, oltre che pagare una barca di tasse, la nostra Isola, in materia di acqua, torna indietro di 60-70 anni, al tempo della mafia del feudo e dei gabelloti. Sostituiti, per l’occasione, dagli affaristi sponsorizzati dall’Unione europea. Un grande ‘affare’, non c’è che dire.
La speranza di tornare all’acqua pubblica è legato al ricorso presso la Corte Costituzionale. Solo la Consulta potrebbe ribaltare questa tesi ‘europeista’ dell’acqua governata dai privati. Ma dovrebbe essere il Governo di Rosario Crocetta a proporre il ricorso presso il Giudice delle Leggi. Speranza flebile, visto che l’attuale Governo regionale, fino ad oggi, se proprio la dobbiamo dire tutta, non ha mai appoggiato il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua.
La parola potrebbe passare al Parlamento siciliano. Ma quanti sono i deputati di Sala d’Ercole disposti a sostenere una battaglia per l’acqua pubblica nel caso in cui il Governo Crocetta dovesse decidere di non proporre ricorso presso la Corte Costituzionale su tale argomento?
Nell’impugnativa si stigmatizza anche il tentativo – che l’Ufficio del Commissario dello Stato ha ‘sgamato’ e bloccato – di trasferire sui conti pubblici (in questo caso dei Comuni) il personale che era stato assunto dalle aziende private fallite (il caso di Acque Potabili siciliane che operava nel 51 Comuni del Palermitano è emblematico: alla luce di questo pronunciamento questo personale non passerà ai Comuni e non si capisce, a questo punto, chi lo dovrebbe retribuire).