Primarie Pd: il 16 Febbraio si sceglie tra i diktat dell’apparato e la libertà degli elettori

E’ come se al ristorante il cameriere dicesse: “abbiamo solo vitello tonnato con patate lessate. Certo, ci sarebbe anche del pollo al curry, ma glielo sconsiglio, non è per niente buono, sa di frigo…” Ed è come se dopo avere ordinato “vitello tonnato con patate lessate” ci si sentisse rispondere “ottima scelta signore!”, per poi solo all’uscita del locale provare quella vaga sensazione di essere stati presi in giro.

Il senso delle primarie del 16 febbraio dalle quali uscirà il nome del nuovo segretario regionale del Partito Democratico è più o meno questo. Perché mai come adesso il PD siciliano sta mancando di rispetto ai propri elettori, facendogli spudoratamente credere che saranno loro gli artefici di una scelta già abbondantemente presa dai soliti 4-5 personaggi costituenti l’Apparato del partito. In questo modo anche il giovane Fausto Raciti – come già fa Matteo Renzi quando ha la necessità di legittimare se stesso – una volta nominato segretario potrà dire “sono stato eletto dalla gente, mi hanno voluto gli elettori del PD, la mia elezione è frutto di democratiche consultazioni..” e altre amenità del genere.

E invece non è così. E il primo a saperlo è lo stesso Raciti, ben conscio di essere il prodotto dell’Apparato. Ovviamente il giovane parlamentare non lo ammette e sfoderando un politichese d’altri tempi parla di ”percorso d’unità”, “condivisione”, “messaggio unitario”. Basterebbe già questo – la sua mancanza di onestà intellettuale – per impedirgli di raggiungere la poltrona più alta del PD in Sicilia.

All’Apparato Raciti ha prestato il fianco senza tanti complimenti, mettendo a disposizione la sua faccia pulita e onesta (perché onesto e pulito c’è, ci mancherebbe) con quella cinica ambizione da fare invidia anche al primo Davide Faraone. Il quale, nemmeno a dirlo, mira a diventare l’unico indiscusso imperatore di Sicilia, ottenendo i galloni con una manovra degna da Prima Repubblica. La “convergenza” appunto su un unico nome, l’accordo tra anime diverse tra loro in perenne lotta in una tregua tecnica per fare fuori il nemico comune Giuseppe Lupo. Il tutto con la benedizione del presidente della Regione, Rosario Crocetta. Se c’è uno infatti che della mancata rielezione di Lupo ne godrà i più grossi benefici, quello è proprio Crocetta. E di certo non per stupide ripicche di bottega.

La posta in palio è assai più alta. Il livello di attenzione sull’immobilismo in cui versa la Sicilia e sulla grave crisi economica in cui Crocetta l’ha cacciata, con la sconfitta di Lupo – colui il quale questa situazione non ha smesso un giorno di denunciarla, rivendicando un maggiore coinvolgimento del partito nella risoluzione dei problemi dell’Isola – si ridurrebbe drasticamente. Una sorta di colpo di spugna, un “voltiamo pagina”, un “ricominciamo daccapo” con la nuova segreteria regionale del partito, addossando magari alla precedente parte delle responsabilità dello stato in cui versa la Regione. Una sorta di Crocetta-bis, con il Governatore che, a quel punto, tolto Lupo dai piedi, non dovrebbe più dare conto e ragione a nessuno, né alla base del partito (che Lupo ha comunque saputo rappresentare, rispettando le sue decisioni, vedi indiscusso sostegno ai vincitori delle primarie) né ai cittadini, ma solo a quell’Apparato che da quel momento lo garantirà. Il tutto a discapito della Sicilia e dei siciliani.

Chi andrà a votare il 16 Febbraio non deciderà quindi solo il futuro del PD, ma anche quello della Sicilia. Gli elettori dovranno scegliere se essere ancora una volta strumenti dell’Apparato, ratificando e legittimando una decisione già presa, oppure provare a riprendersi il proprio ruolo, con coraggio, stabilendo se è il caso di cambiare ristorante.

Franco Cascio


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