Le armi chimiche siriane? Dopo la Calabria troveranno posto tra Creta e Malta!

TANTO PER CAMBIARE, HANNO TROVATO IL MODO DI INQUINARE IL MARE MEDITERRANEO

Cosa giusta e saggia sarebbe quella di fare rotta verso Miami Beach e scaricare in quelle acque le sostanze chimiche trattate con il metodo di neutralizzazione mediante idrolisi degli arsenali chimici siriani. Una volta caricate sulla nave statunitense Cape Ray, sarebbe logico che quella unità navale facesse rotta verso casa e il suo carico di veleni lo depositasse al largo delle coste della Florida o in quelle località appositamente attrezzate per lo smaltimento di questo tipo di sostanze tossiche di cui gli Stati Uniti sono dotati.

Invece no. Quel che resta della distruzione dell’arsenale chimico sequestrato alla Siria sarà trattato a Gioia Tauro e quindi inabissato nel mare Mediterraneo a ridosso dell’isola di Creta, tra questa e l’isola di Malta. Insomma, nel nostro mare. Queste notizie le ricaviamo da un articolo di Gianni Lannes apparso su “Informare per esistere”.

Secondo quanto leggiamo in questo articolo, la destinazione finale di quel che resterà dell’arsenale chimico siriano avrebbe dovuto trovare posto in prossimità delle coste albanesi. Ma lì hanno toccato duro. Così gli americani hanno optato per una delle due ‘colonie’ italiane, la Calabria (l’altra, ovviamente, è la Sicilia). Per poi seppellire il tutto tra Creta e Malta.

Per carità: anche il mare Adriatico è saturo di residuati bellici ivi depositati al termine della guerra nel Kosovo. Ricordate? Allora le bombe non sganciate in quel territorio dovevano essere comunque eliminate prima dell’atterraggio di ritorno degli aerei in pista perché questi non potevano atterrare con le bombe a bordo, a rischio della loro esplosione. Com’è noto si trattava di bombe all’uranio impoverito, che tanti danni alla salute dei nostri soldati hanno arrecato, atteso che loro erano costretti a muoversi nei terreni colpiti da quelle bombe.
Meno male che le armi chimiche pericolose sono quelle in possesso dei siriani. Le bombe all’uranio impoverito o quelle al napalm (Vietnam) o, ancora, quelle al fluoro (Falluja, Iraq), utilizzate ampiamente dall’aviazione statunitense a tutte le latitudini e longitudini, sono o no da considerare armi chimiche?

Torniamo alla questione oggetto di queste note. Secondo il professore Nikos Katsaros, collaboratore scientifico di Democritos, il centro nazionale di Ricerca di Atene, e del Politecnico di Creta, nonché ex presidente dei chimici greci, il trattamento mediante idrolisi, previsto per la neutralizzazione delle miscele che costituiscono l’arsenale chimico siriano, non salvaguarda l’ambiente dove viene inabissato dove, invece, provoca la necrosi e l’inquinamento. Il pesce che vi stazione viene avvelenato e tale veleno colpisce chi quel pesce consuma.

Queste armi chimiche, di solito, vengono distrutte mediante combustione in aree appositamente attrezzate. Le infrastrutture sono attualmente presenti e utilizzate per questo genere di operazioni si trovano in Usa, Cina, Germania, Russia e Francia. Invece, in questo caso, queste installazioni restano inattive.

Si preferisce utilizzare il tratto di mare che intercorre tra il Tirreno meridionale e il Mediterraneo al largo di Creta. Proprio dove insistono l’arcipelago delle Pelagie e l’isola di Pantelleria. Cioè in prossimità di marina di grande pregio (le Pelagie sono sede di una Riserva marina, un patrimonio della biodiversità del Mediterraneo, mentre Pantelleria, pur non essendo Riserva marina (la solita mafia…) non è certo meno importante sotto il profilo ambientale. 

Altra voce autorevole, per competenza scientifica, è quella del professore Evangelos Gidarakos del Politecnico di Creta, che aggiunge: “Queste sostanze chimiche sono miscele di componenti pericolose e tossiche a base di cloro e fluoro, non possono essere inattivate in modo da non causare danni agli organismi viventi solo con questo metodo. Tutta questa storia ricorda più una operazione militare ed ha poco di scientifico”.

Quello che appare più aberrante in tutta questa vicenda, a parte la logica imperiale che la origina, è la ragione ‘tecnica’ che la informa: il Mediterraneo è un mare chiuso e pertanto ciò che avviene al suo interno difficilmente si espanderà negli altri mari e negli oceani, mentre la stessa operazione eseguita altrove – per esempio in Germania o in Francia ovvero in Cina o negli Stati Uniti – si correrebbe il rischio del propagarsi dei veleni sprigionati da questi rifiuti chimici nei mari aperti e negli oceani, Atlantico o Indiano che sia.

Ci fermiamo qui perché di fronte a tanta protervia di stampo imperialista e alla vile sudditanza di chi accetta supinamente queste decisioni non ci vengono argomenti da addurre per evitare che ciò accada. E ove questi argomenti fossimo in grado di portare, sarebbe fatica inutile: affare Muos docet, laddove bellicosi proclami di opposizione alla sua realizzazione nel breve giro di qualche settimana si sono trasformate in sciocche dichiarazioni encomiastiche…

 


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