Costi della politica: i deputati dell’Ars vogliono colpire i burocrati e salvare se stessi…

Può la politica abbattere i costi della politica? Finora, in Sicilia, gli unici che hanno ridotto drasticamente i propri emolumenti sono i quattordici parlamentari del Movimento 5 Stelle di Sala d’Ercole, che ogni mese percepiscono 2 mila e 500 euro più i rimborsi, dirottando il resto della diaria parlamentare (circa 20 mila euro lordi per ogni deputato) nel fondo per il microcredito. Il resto è solo ‘pirateria’, demagogia e confusione.

Cominciamo con la ‘pirateria’. In quest’attività si è distinto il passato Governo di Mario Monti, forse il peggiore esecutivo della storia della Repubblica italiana. A parte i pessimi risultati ottenuti (basti pensare al debito pubblico che ha sforato i 2 mila miliardi di euro, o la figuraccia internazionale con i due marò in India).

Il Governo Monti ha provato a sbaraccare le Province. Ma si è beccato una bella reprimenda dalla Corte Costituzionale, che ha ricordato al passato esecutivo che queste cose si fanno con legge costituzionale e non con decreto legge (argomento da primo anno di Giurisprudenza!).

Lo stesso Governo Monti ha tagliato un sacco di soldi alle Regioni. Anche in questo caso ci sono ricorsi presso la Corte Costituzionale. I tagli effettuati dal Governo Monti, sempre con legge ordinaria, intaccano l’organizzazione delle stesse Regioni. Morale: se il principio che questi interventi si fanno con legge costituzionale vale per le Province, dovrà per forza di cose valere anche per le Regioni.

Infatti sono tante le Regioni del nostro Paese che hanno presentato ricorso contro i ‘tagli selvaggi’ operati dal Governo Monti con legge ordinaria. Chi non ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale è la Regione Sicilia, che si è vista scippare dal proprio bilancio 914 milioni, come certificato nella relazione della Corte dei Conti una decina di giorni fa.

La questione si fa complessa, perché la nostra Costituzione è stata modificata dal Parlamento di ‘nominati’ che, per obbedire all’Unione Europea dell’euro, ha introdotto il cosiddetto pareggio di bilancio. Ma questo pareggio di bilancio che ha mortificato la nostra Costituzione e la nostra democrazia, si può imporre, come ha fatto il Governo Monti, modificando, di fatto, l’ordinamento delle Regioni con legge ordinaria?

Su questo dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale. Intanto da noi il principio è passato senza colpo ferire: lo Stato, quest’anno, come già ricordato, ha scippato ala Regione siciliana 914 milioni di euro. E si continua a tenere circa 600 milioni di accise sui consumi di idrocarburi che la Regione dovrebbe incassare per compensare il passaggio delle spese per la quota di compartecipazione alla spesa sanitaria dal 42 a quasi il 50 per cento.

Questi due elementi – lo scippo di 914 milioni di euro e il mancato riconoscimento dei 600 milioni di euro all’anno per le spese sanitarie, più che questioni giuridiche, definiscono una pressoché totale mancanza di autorevolezza da parte della politica siciliana e, in particolare, di un Governo regionale che si fa rappresentare, a Roma, per tali questioni, da un assessore all’Economia, Luca Bianchi, che ha dimostrato ripetutamente di non fare gli interessi della Sicilia.

Il problema è che la mancata autorevolezza del Governo siciliano determina l’impoverimento della nostra Regione (solo quest’anno oltre un miliardo e mezzo in meno nel bilancio) e, a cascata, problemi per i tanti settori dell’economia. E’ il taglio di 914 milioni di euro e i mancati introiti di 600 milioni di euro che hanno determinato i tagli ai Laboratori di analisi, da oggi di nuovo in rivolta; è a causa di questi tagli che quasi tutti i Teatri siciliani e, in generale, tutte le attività culturali della Sicilia sono alla frutta; è a causa di tali tagli che i Comuni siciliani sono quasi tutti i dissesto finanziario, anche se non dichiarato.

L’unica cosa che la politica siciliana sta cercando di tutelare sono le proprie clientele storiche, con in testa il precariato. Ma il sistema del precariato siciliano sta crollando lo stesso. I soldi per la Cassa integrazione sono insufficienti. A Palermo, a malapena, si sono trovati i soldi per pagare gli altri mille e 800 addetti della Gesip fino ottobre. Ma il bilancio del Comune di Palermo è in sofferenza e, molto difficilmente, riuscirà a pagare tutti i dipendenti ‘stabilizzati’ tra uffici comunali e società municipali.

Stesso discorso alla Regione. Dove non è detto, come abbiamo scritto stamattina, che l’Ars riuscirà a far passare la legge di proroga dei contratti ai 23 mila precari degli enti locali. Perché i 300 milioni di euro sistemati in bilancio nei fondi globali dovrebbero servire non per pagare il precariato, ma per fronteggiare le entrate quasi fittizie che superano i 3 miliardi di euro.

Quanto sopra vale per la ‘pirateria’. Poi ci sono demagogia e confusione. L’Ars, con una propria commissione presieduta dal parlamentare del Pd, Antonello Cracolici, avrebbe già pronto il provvedimento per tagliare i costi della politica a Palazzo Reale.

Da qui una domanda: ma se si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale sulle Regioni che si sono opposte ai tagli del Governo Monti, non sarebbe più corretto, prima di procedere in Sicilia, attendere cosa dirà, in proposito, la Corte Costituzionale?

Forse, a monte di certa fretta non c’è tanto la voglia di tagliare i costi dei parlamentari di Sala d’Ercole (stando a quello che abbiamo letto ogni parlamentare dell’Ars subirebbe una decurtazione di meno di 2 mila euro lordi al mese), quanto quella di colpire la burocrazia dell’Assemblea regionale siciliana.

Il nostro giornale è stato sempre in prima fila nel denunciare gli sperperi di questo ‘Palazzo’ (come dimenticare l’indennità per il servizio militare svolto incamerata da uno ristretto gruppo di alti burocrati con una trovata da Azzeccagarbugli’). Ma un conto sono gli sperperi, altra e ben diversa cosa sono i contratti.

A differenza di quanto avvenuto in quasi tutti gli uffici dell’amministrazione regionale (tranne ormai rare eccezioni), i dirigenti dell’Ars sono vincitori di concorso. Tagliare le retribuzioni a questo personale significa riandare a discutere un contratto regolato da leggi.

A meno che il Governo della Regione non abbia in programma di mettere in discussione il principio che equipara Sala d’Ercole al Senato della Repubblica. Ma questo significherebbe rivedere tutto: anche le retribuzioni dei parlamentari. E significherebbe non considerare più Sala d’Ercole un Parlamento.

Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, e il suo ‘cerchio magico’ non hanno mai fatto mistero della voglia di trasformare gli uffici dell’Ars in qualcosa di diverso dagli uffici di un Parlamento. E, soprattutto, di equiparare i dirigenti dell’Ars ai dirigenti regionali(oggi tutti senza contratto).

La pensa così anche il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone?

 

 

 

 


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