Ettore Majorana: scomparsa di un genio

Il fisico catanese Ettore Majorana scomparve misteriosamente nella notte tra il 27 e il 28 marzo del 1938. Due lettere, una alla famiglia e una al direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli Carrelli, le uniche prove del suicidio. Majorana aveva a quell’epoca solo trentun anni. Pochi, ma sufficienti per farlo entrare per sempre nella storia della scienza mondiale.
«Un genio – lo definì Enrico Fermi – come Galileo e Newton. Se il problema è già posto, nessuno al mondo lo può risolvere meglio di Majorana». Scrisse Edoardo Amaldi nella “Nota biografica di Ettore Majorana” del 1966: «La scelta di alcuni dei problemi da lui trattati, i metodi seguiti nella loro trattazione e, più in generale, la scelta dei mezzi matematici per affrontarli, mostrano una naturale tendenza a precorrere i tempi, che in qualche caso ha quasi del profetico». E dopo poche righe aggiunge: «Amava moltissimo i classici ma prediligeva Shakespeare e Pirandello». Ecco che il problema è posto: tragedia o volontaria e beffarda fuga dal mondo? Ettore Majorana: un suicida o un nuovo Mattia Pascal?

Questo il dilemma che da sempre affligge chiunque si avvicini alla storia di Majorana e vi cerchi possibili moventi all’una o all’altra soluzione. «Tutto inutile – avrebbe detto più tardi Fermi – con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito». E così è stato.
Ecco perché, nell’impossibilità di aggiungere dati importanti alla sua misteriosa scomparsa, a cento anni dalla sua nascita, è giusto ricordare Ettore Majorana non tanto per il mistero che avvolge la sua figura di uomo, ma per la grandezza del suo genio, per le scoperte che fece e che decise di rivelare al mondo nella sua seppur breve vita in esso.

Questo lo scopo dell’intervento del prof. Bruno Russo, docente di “Tecniche della narrazione e mezzi audiovisivi”, al quarto incontro del Circolo di Lettura organizzato da Lingue. Sfogliando le pagine del suo libro, “Ettore Majorana. Un giorno di marzo” (Flaccovio 1997, terza ediz. 2005) di cui con rara intensità ci ha letto alcuni brani, ha ripercorso gli ultimi dieci anni di vita del grande fisico catanese, partendo da una data di fondamentale importanza: il 1928, l’anno in cui Majorana entrò a far parte del celebre gruppo di fisici di via Panisperna (comprendente tra gli altri Franco Rasetti, Emilio Segré, Edoardo Amaldi e Bruno Pontecorvo) guidato da Enrico Fermi.

Tutta la vita di Majorana è stata segnata dalla precocità, da una precocità ritardata fino al possibile, anzi, all’impossibile: all’età di 4 anni, quando non sapeva ancora né leggere né scrivere, si infilava sotto il tavolo e cominciava a moltiplicare tra loro due numeri di tre cifre ciascuno, estrarre radici quadrate e cubiche; a 17 anni frequenta l’Università di ingegneria, che poi lascerà per iscriversi in fisica; a 23 anni è gia considerato da tutti come il più grande fisico, tanto che anche Fermi, sempre così severo nel giudicare il prossimo, diceva che Majorana era più intelligente di lui. Non ancora trentenne ottiene la libera docenza in Fisica teorica per ‘chiara fama’, grazie ai lavori pubblicati su problemi di fisica atomica e molecolare.

Majorana fu uno scienziato poliedrico, molto più vicino alla concezione scientifico-filosofica di Heisenberg e Bohr (conosciuti durante una permanenza in Germania nel 1933), che a quella prettamente specialistica della scienza del gruppo di Fermi. Chiuso nella sua stanza studiava per ore e ore di tutto: matematica, filosofia (negli ultimi anni aveva scoperto Schopenhauer che divenne subito il suo filosofo preferito), letteratura, medicina, economia politica.
Schivo e riservato, solitario fino all’estremo, viene ricordato da tutti coloro che lo conobbero come un uomo ‘strano’, perché pirandellianamente diverso da come gli altri si aspettavano che fosse. Quest’atteggiamento di chiusura verso il mondo esterno si rispecchia anche nella tendenza a rifiutare la fama e i riconoscimenti che avrebbe avuto pubblicando tutti i suoi studi: se scopriva una teoria, spesso, piuttosto che divulgarla, la teneva per sé. Così accadde per la teoria del nucleo fatto di protoni e neutroni, che non da Majorana, ma da Heisenberg prese il nome. E quando fece la scoperta che avrebbe cambiato il mondo intero, l’atomica, piuttosto che divulgarla preferì scomparire… o forse si suicidò.

Obiettivo di ogni genio nel momento in cui ha tra le mani una scoperta che potrebbe cambiare il mondo o quanto meno rivoluzionare precedenti teorie e segnare un punto nella scienza, dovrebbe essere quello di rendere nota tale scoperta. Majorana invece tenta di non fare quel che deve fare: «Spesso le idee, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili – raccontò Laura Fermi – le scriveva su un pacchetto di sigarette. Arrivato all’Istituto di Fisica mostrava a Fermi la sua teoria e appena gli altri fisici del gruppo approvavano, se ne entusiasmavano e lo esortavano a pubblicare, Majorana si richiudeva, farfugliava che era roba da bambini. Fumata l’ultima sigaretta buttava il pacchetto (e i calcoli e le teorie) nel cestino».
Alcuni hanno voluto leggere in queste stranezze un atteggiamento fortemente autocritico, ma «in realtà non è così – afferma Bruno Russo –. E’ segno di un più ampio regime esistenziale, il regime della rinuncia, della negazione di sé, che culminerà nell’estremo rifiuto non solo della morte volontaria, ma anche e soprattutto della sottrazione del corpo, lasciato inghiottire dalle profondità del mare».

«La storia di Majorana – afferma ancora Russo – deve essere letta come una progressiva dimissione dall’esistere», i cui segni si ritrovano in tutti i gesti e i discorsi da lui fatti negli ultimi mesi di vita, perché ha pochi dubbi il nostro interlocutore sul fatto che Majorana si sia suicidato, tanto da fargli venire in mente la conclusione del racconto di Jorge Luis Borges “La scrittura del dio”: lascio che i giorni mi dimentichino.
A sostegno di questa tesi è stato proiettato un video con alcune interviste condotte dallo stesso Bruno Russo ad alcuni studenti di Majorana, alla sorella Maria e al fisico Giuseppe Occhialini, che incontrò Ettore due mesi prima della sua scomparsa: «Ricordo esattamente quel nostro unico e brevissimo incontro. Ero andato a Napoli per incontrare il direttore dell’Istituto di Fisica Carrelli, quando ebbi la fortuna di incontrare Ettore Majorana che era docente di Fisica teorica. “Se tu fossi venuto qui tra un paio di settimane non mi avresti più trovato”, mi disse Majorana, e poi aggiunse: “ci sono persone che ne parlano a altre che lo fanno”. Non credo alla fuga o alla scomparsa volontaria: quei pronomi “ne” e “lo” mi hanno persuaso che Majorana si sia suicidato».

L’ultima parte del dibattito si è incentrata sull’ultimo, incomprensibile gesto che Majorana fece proprio il giorno della sua scomparsa: la mattina andò all’Istituto e consegnò ad una sua studentessa una cartella contente alcuni suoi documenti dicendole che più tardi ne avrebbero riparlato. Ma quel momento non arrivò mai. Cosa contenesse quella cartella, finita in seguito nelle mani di Carrelli, rimarrà per sempre un mistero. Conteneva veramente gli appunti delle lezioni, come in molti hanno sostenuto? Per Russo è impossibile che sia così, perché Majorana era solito consegnare agli studenti i suoi appunti, e non lo avrebbe fatto di nascosto.
La studentessa affermò di aver sfogliato quei fogli e di avervi letto calcoli incomprensibili. Contenevano forse qualche nuova e straordinaria teoria? E perché consegnarle proprio a lei? Che fine hanno fatto quelle carte? Il mistero continua.


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