Formazione: Albert + Barca=Verre?

Non deve sorprendere che Fabrizio Barca (foto sotto, a sinistra, tratta da ilpost.it) abbia preso le difese del torinese Ludovico Albert nella vicenda che lo ha coinvolto nelle misteriose dimissioni o, per meglio dire, nel licenziamento da dirigente generale del dipartimento Istruzione e Formazione professionale in Sicilia. Barca nasce a Torino e compie i primi passi nel mondo politico tesserandosi con il Partito comunista. Non poteva essere diversamente. Figlio d’arte, con il Pci che scorre nel sangue, il papà Luciano è stato partigiano e per quasi trent’anni deputato prima e senatore della Repubblica dopo del Pci fino a dirigere l’Unità e Rinascita.

Il ministro per la Coesione territoriale, economista e docente universitario con un curriculum di tutto rispetto è scivolato su una lettera indirizzata al presidente della Regione siciliana, il dimissionario Raffaele Lombardo, dove si chiedono precise garanzie sulla permanenza di Albert a capo della formazione professionale in Sicilia. Un atto di ingerenza bello e buono quello del ministro, secondo molti autonomisti convinti. Un atto sconsiderato, quello di Lombardo, nell’accogliere la richiesta del ministro. Una decisione che secondo taluni ripristina certezza nel settore, secondo altri (che appaiono la maggioranza) getta nel più totale panico il settore.

Un settore, quello della formazione professionale siciliana, risucchiato nel caos dalle scelte pidiessine e lombardiane. Da più parti si grida, in questi giorni, allo scandalo. Voci sempre più convinte di movimenti autonomisti fuori dagli schieramenti politici ufficiali e di larga parte degli operatori del settore vedono nella riforma del Pd un vero e proprio fallimento. E, per la verità, questo giornale prova a ripeterlo da oltre due mesi, con riscontri oggettivi e con indagini condotte con pazienza.

Un collegamento quello tra Torino, Roma e Palermo inattaccabile e retto da condizioni politico-istituzionali forti e strutturate. Un vero e proprio connubio a danno della Triscele. L’espressione connubio (sinonimo di “matrimonio”, in senso ironico), richiama il passato ed indica l’accordo politico del febbraio 1852 tra due schieramenti del Parlamento Subalpino, quello del Centrodestra, capeggiato da Cavour, e quello del Centrosinistra guidato da Urbano Rattazzi.

Oggi lo si definirebbe un ribaltone. Un po’ come quello capeggiato da Raffaele Lombardo allorquando introduce il governo dei “tecnici” di ispirazione pidiessina per abbandonare il partito del centrodestra (Pdl) reo di non aver eseguito, in sede di approvazione del bilancio di esercizio e della manovra finanziaria, precise indicazione del governatore. Corsi e ricorsi. O, per meglio dire, come saccheggiare la Sicilia per affamarla e meglio controllarla.

Forse più di un politico siciliano dimentica che con simili condizioni politico-sociali la Sicilia ha conosciuto un fenomeno drammatico: separatismo. Il separatismo siciliano è stato un fenomeno politico di breve durata, ma estremamente drammatico, fortemente trascurato per motivi diversi da storici e commentatori politici. La Sicilia aveva conosciuto diversi periodi di anarchia politica, e il movimento separatista caratterizzato dalla sua estrema labilità ideologica, si inserì in quel periodo di forte assenza dei poteri che si ebbe nel periodo immediatamente successivo allo sbarco Alleato del ’43. Componenti essenziali del movimento separatista furono i grandi proprietari terrieri, i mafiosi e le organizzazioni politiche di Sinistra a carattere locale, gruppi che, pur parlando di un generico comportamento ingiusto ed autoritario del Governo centrale verso l’isola, non arrivarono ad un programma comune e solo per breve tempo militarono nelle stesse associazioni. Corsi e ricorsi.

Od ancora più indietro nel tempo per testimoniare il periodo buio caratterizzato dalle ruberie e dalla concussione. E’ il caso di Gaio Licinio Verre. Politico romano vissuto nel I secolo a.C., propretore della Sicilia dal 73 a.C. al 71 a.C., conosciuto come colui che compì concussioni e ruberie. Si trattava di pratiche piuttosto comuni nel periodo, per le quali lo stesso subì un celebre processo, nel quale Cicerone pronunciò contro di lui le orazioni denominate “Verrine”. Le Verrine, dette in latino “In Verrem”, nascono per sostenere l’accusa contro il pretore della Sicilia Gaio Licinio Verre accusato proprio di corruzione e appropriazione indebita. Si tratta in totale di sette orazioni di cui solo le prime due realmente tenute, mentre l’altra fu scritta, ma non eseguita in quanto, dopo le prime due, l’accusato comprese che non avrebbe avuto scampo e prese volontariamente l’esilio.

Una condotta che si è ripetuta nel tempo e che è arrivata fino ai nostri giorni per sancire le ruberie politiche ed economiche della “ladrona Roma”, per dirla alla Bossi, a danno della Sicilia e dei siciliani. Certo, si tratta di accostamenti storici forti e certamente lontani da questo presente e dalla vicenda delle dimissioni/licenziamento. Per carità, non azzardiamo alcun collegamento che non potrebbe ovviamente esserci. Però riteniamo, dalla lettura ed analisi dei fatti, che i troppi lati oscuri di questa vicenda (quella siciliana di Lombardo e del Pd) lasciano sul campo di battaglia diversi interrogativi che amplificano gli effetti se collocati all’interno di una campagna elettorale caratterizzata da toni alti e per nulle confortanti.

La formazione professionale è uno di quei settori da sempre a rischio di facili clientele e per questo misuratore del clima politico generale. Da più parti si auspica l’intervento dell’autorità di controllo per tentare di ripristinare alcune regole persesi per strada. Rievocare l’interesse generale al diritto allo studio ed ella formazione permanente lungo tutto l’arco della vita di ogni siciliano è “cosa buona e giusta”. La ridiscesa in campo di Ludovico Albert a queste condizioni evoca sospetti e veleni che certamente non servono alla martoriata Sicilia.

Cosa vi sia dietro il contro ribaltone del presidente della Regione dimissionario non lo sappiamo. Qualcuno sospetta un esodo verso il “polo produttivo” capeggiato da Rosario Crocetta. Un Lombardo che con il suo movimento (ex Mpa, oggi Partito dei Siciliani) potrebbe lasciare il cerino in mano all’ignaro Gianfranco Micciché per rinforzare le fondamenta di un gruppo che ha operato strettamente con il governatore negli ultimi due anni. Una candidatura, quella di Crocetta, che da rivoluzionaria rischia di esondare verso un flop macroscopico. O, forse, un Lombardo costretto ad accettare una proposta che ‘non ha potuto rifiutare’.  

Manca ancora una decina di giorni prima di conoscere la verità su apparentamenti e candidature. I giochi sono ancora aperti. E lo dimostrano le risultanze dei lavori del parlamentino Fli della scorsa notte. Un aggregato politico da 3,5% (nelle più rosee previsioni), che si atteggia a regista nello scacchiere politico elettorale siciliano. Una componente che ironicamente discute di listone dove far confluire tutti i partiti e partitini, ma che è in fondo consapevole che trovandosi sotto la soglia del 5% non ha la forza di garantire neanche i suoi leaders. A meno che non rispolvera vecchi meccanismi aggregativi per salvare il salvabile.

Eppure ha espresso due assessori regionali nell’ultima giunta Lombardo ed un dirigente generale, quello alla pesca di cui non si hanno notizie. Un aggregato, dicevamo, con un gruppo parlamentare all’Assemblea regionale siciliana composto da soli quattro deputati. Attenzione: uno di questi ha già tolto il disturbo. La sceneggiata continua e non risparmia nessun partito. Dal Pdl, per esempio, è uscito Nino Beninati transitato nell’Udc di Gianpiero D’Alia. I giochi dicevamo sono ancora aperti e rischiano di lasciare per strada nomi eccellenti ancor prima dello start-up.


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