Elisir d’amore? Una tragedia, altro che melodramma!

L’Elisir d’Amore è un melodramma giocoso di Gaetano Donizetti in due atti scritto in 14 giorni su libretto di Felice Romani, tratto dal racconto di Eugène Scribes “Le Phlitre”, messo giù per il compositore Daniel Auber. Era stato scritto per sostituire un’opera non andata in scena. Ma, anche se su Donizetti si sono sprecate le battute, e vi è stato chi tra i suoi colleghi lo ha chiamato Dozzinetti, è stato una grande compositore, che ci ha lasciato perle musicali del melodramma italiano nella ‘Lucia di Lammermoor’, nel ‘Don Pasquale’, nella ‘Figlia del reggimento’, nell’ ‘Elisir d’Amore’, per l’appunto.

In particolare, l’opera di cui parliamo è una delle nostre preferite , per alcune arie, delicate ed elegiache, per l’empatia che attira il protagonista e per la travolgente simpatia di quella simpatica canaglia del Dottore Dulcamara.

L’edizione che abbiamo ascoltato domenica 17 giugno al Teatro Massimo di Palermo (turno D) non è stato un melodramma giocoso, ma è stata piuttosto una… farsa.

Cominciamo dalla solita, innovativa, disastrosa regia con un’ancora più disastrosa scenografia.

Già appena accomodati si vedeva sul palcoscenico una sdraio con un salvagente ed un enorme coccodrillo di plastica sgonfio. La prima cosa che abbiamo pensato è stata: ecco, ci risiamo, le solite invenzioni! Mai che ci sia un’edizione classica, “normale”.

Ma poiché ci tacciano di non essere aperti alle innovazioni (noi certe innovazioni le chiamiamo, molto più semplicemente, mancanza di gusto), abbiamo voluto aspettare. Ma, come si dice, la prima impressione è quella che conta. La rappresentazione, infatti, è stata disastrosa!

Durante l’ouverture, due bambini sono entrati in scena, a sipario chiuso, ed hanno cominciato a gonfiare il coccodrillo di plastica facendo un rumore assurdo ed inutile che interferiva con la musica. Perché? Un rumore ed una scena inutile.

Appena aperto il sipario, è stata un’inondazione di luci colorate, psichedeliche, confusionarie. Infatti la vicenda è stata trasposta in uno stabilimento balneare dei nostri giorni. All’effetto quasi allucinogeno dei colori e della confusione è stato aggiunto un movimento di fondo di un gruppo di ginnaste che facevano aerobica al ritmo della musica di Donizetti.

L’entrata del Dottore Dulcamara è stata trasformata in una sorta di réclame di una Redbull-Elixir.

E questo povero ‘Elisir d’amore’, che nel semplice intendimento del poeta e del compositore doveva essere innocente vino Bordeaux è diventato un’ambigua bevanda potenziata da “piste innevate”. Il tutto condito da donnine più o meno (meno, meno!) vestite, procaci, irridenti al sempliciotto Nemorino, innamorato della furba Adina. E vorremmo vedere! Un Nemorino che canta il proprio amore platonico per una donna che non lo considera, anzi lo disprezza, che cerca di conquistarla con un filtro amoroso, che non cerca nessun’altra donna, che rinuncia a tutto per lei. Tutto questo su una spiaggia estiva del XXI secolo, magari con un televisore che trasmette l’ultima edizione di “Uomini e donne” o del “Grande fratello”, beh, tutto ciò è quanto meno anacronistico.

Come, si parla sempre degli “amori da spiaggia”? E vi si ambienta la storia d’amore più struggente del melodramma italiano? Quella in cui si racconta di un uomo che “si fa soldato “ per avere il denaro che serve a conquistare la sua bella? Ma il regista e lo scenografo a cosa pensavano quando hanno riproposto tutta la delicatezza e l’elegia di quest’opera tra una sdraio e un aperitivo con l’ombrellino?

Noi, che pure conoscevamo l’opera, l’abbiamo completamente persa di vista, anzi se l’avessimo vista per la prima volta in questa occasione l’avremmo detestata per sempre.

Un capitolo a parte sono stati i cantanti.

Certo, noi non sapremmo fare questo lavoro, non sapremmo salire su un palcoscenico ed affrontare il pubblico, ma noi non siamo stati dotati di un talento canoro, né di un tale coraggio. Ma chi fa questo lavoro dovrebbe avere il talento del canto.

Il tenore mancava di bellezza timbrica e di potenza vocale. Certo, era un tenore leggero, per la parte: ma ciò non toglie che in sala non ha raccolto consensi.

Nel primo atto abbiamo anche notato vari difetti tecnici legati alla respirazione, l’unica aria per cui “aveva fatto i compiti” era l’aria del II atto – “Una furtiva lagrima” -: buoni i legati, buoni i trilli, buona la respirazione ma, come ha detto il nostro compagno di sventura , ops… scusate di palco, non c’era la voce (piccolo particolare di poco conto ).

Anche il soprano, per quanto padrona di bellissima voce, forse non era tagliata per una parte di coloritura leggera come questa. Soprattutto nelle note acute mostrava di non avere fluidità e limpidezza.

Il basso buffo o anche voce baritonale del Dottor Dulcamara era il meno peggio dei cantanti. Ma la voce non aveva profondità, vibrazione, volume.

Il Baritono che interpretava Belcore non ci ha fatto sognare. Anzi, ci ha fatto ricordare una concorso per voci giovani ascoltato qualche anno fa (crediamo due o tre) a ‘Domenica In’, in cui uno dei giudici era il Sovrintendente del Teatro Massimo, Antonio Cognata, che il quell’occasione ha promesso al presentatore che i vincitori di quel concorso avrebbero avuto una produzione al Teatro Massimo quale premio.

Non vogliamo pensare di essere stati gli spettatori di quella produzione. Su questo attendiamo commenti.

Sicuramente nei corridoi abbiamo ascoltato vari commenti, quasi tutti negativi, sull’opera, sia riguardo alla scenografia, sia riguardo ai cantanti.

Molti potrebbero dire che sono stati strappati due bis. Noi, che eravamo presenti e seduti nei posti appena al di sopra di coloro che li hanno richiesti, possiamo dire che alcuni di loro sono stati fatti sedere dalle maschere al momento dello spegnimento delle luci (portoghesi? clack?). Inoltre il bis, che di solito viene concesso, e non sempre, dopo almeno dieci minuti di applausi è stato concesso, con disappunto nostro e dei nostri compagni di sventura, ops… di palco, appena dopo un educato applauso di chiusura aria a qualche sgolato “bis” della compagnia di cui sopra.

Alla resa dei conti, è stata una serata disastrosa. Le parole di Dulcamara che canta come il suo Elisir “è di Pandora il vaso” non sono mai state così profetiche. Avremmo voluto restituito il biglietto che ammonta alla dignitosa cifra di circa 80 euro: che non sono pochi.

Il pubblico del Teatro Massimo è sempre stato considerato esigente, colto. Forse dovrebbe ricominciare a fischiare, non per mancare di rispetto a chi sale sul palco per lavoro, ma per fare capire a chi produce gli spettacoli che un Teatro lirico come il Massimo di Palermo e un pubblico come quello palermitano meritano molto di più. Speriamo che la nuova amministrazione comunale riprenda coscienza di questa dignità.

Sopra, una foto della scenografia delll’opera andata in scena al Teatro Massimo di Palermo (tratta da peroni.com)

 


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