Il discorso di Giulietta Romeo

Magnifico Rettore, Signori Presidi, Signori Docenti, Colleghi studenti, Autorità, Signore e Signori presenti

 

Sono onorata di porgerVi il saluto di tutti gli studenti dell’Ateneo catanese. In particolar modo ringrazio i rappresentanti degli studenti in seno agli organi digoverno di questa Università che mi hanno incaricato di essere loro portavoce.

 

La sfida dell’autonomia amministrativa ha colto probabilmente impreparata la realtà degli atenei italiani che, per fronteggiare tale situazione, hanno purtroppo spesso dato vita ad una corsa atta ad accumulare il maggior numero di iscritti istituendo anche corsi di laurea la cui efficacia, dal punto di vista della preparazione al mondo del lavoro, è spesso discussa e discutibile; si è privilegiato così un indirizzo formativo atto più a sottolineare l’aspetto quantitativo piuttosto che qualitativo.

 

Si è nei fatti innescata una competizione da parte degli atenei che ha portato ad uno scadimento complessivo dell’offerta didattica ed alla perdita di vista delle reali esigenze del principale protagonista del sistema universitario “lo studente”.

 

Indice di ciò la non trascurabile tendenza degli atenei a stipulare convenzioni con diversi ordini e categorie professionali per il riconoscimento di crediti che hanno spesso portato all’istituzione di percorsi formativi preferenziali a discapito del tradizionale iter universitario riducendo il valore stesso dei titoli conseguiti. Infatti, con un mondo del lavoro che esige sempre più esperienze formative post-universitarie come master e corsi di eccellenza, il ruolo della laurea tradizionale sembra diventare più marginale e sempre più rilegato al rango di semplice e non determinante momento di passaggio nella carriera formativa di noi giovani.

 

È bene sottolineare il netto fallimento della cosiddetta “riforma Zecchino”, riguardante il sistema del tre più due, inizialmente creato per far fronte alle esigenze di una maggiore mobilità e flessibilità sia del mondo universitario sia del mondo del lavoro; fallimento che ha riguardato la difficile applicabilità soprattutto nelle facoltà umanistiche.

 

Riteniamo che riformare debba essere obbligatorio quando l’innovazione nasce dall’esigenza e non dall’imposizione europea, ed in ugual misura l’Europa dovrebbe rappresentare il punto d’arrivo di uno stato che da troppo tempo vive solo di ricordi storici e si rifugia, nel vano tentativo di innovarsi, dietro direttive, frutto più di esigenze dei grandi piuttosto che di giovani richieste.

 

Il divario generazionale che si sta creando tra “vecchio mondo” e nuova società rischia di generare un caos ove la necessità di sopravvivere prende il sopravvento verso la gioia di inventare e di mettersi veramente in discussione. Non ha senso al momento discutere sul numero di laureati, frutto più della fretta di smaltire corsi di laurea troppo affollati ma, piuttosto, preme capire che senso abbia “ingravidare” ulteriormente la proposta formativa se poi non esiste alcuna occupazione capace di assorbirle.

 

Allo stesso modo sembra piuttosto incomprensibile capire le motivazioni

che hanno dettato l’istituzione di una classe docente che tra mille adempienze burocratiche non trova più spazio per poter realmente adempiere al proprio dovere sia nella ricerca sia nella libera docenza; forse le Università statali trascurano il loro vero patrimonio che, proprio sull’esempio del modello anglosassone, è rappresentato dagli intelletti che ne fanno parte piuttosto che dalla quadratura del bilancio. Inutile desiderare qualcosa senza pensare che abbia un costo ma ancor più demotivante credere che tutto abbia un prezzo.

 

La componente studentesca non può che plaudire al tentativo di sperimentazione del così detto sistema ad Y per i corsi di laurea in giurisprudenza ritenendo che questa sia la giusta direzione verso cui far proseguire i costanti sforzi riformatori supportati da una dovuta copertura economica. È ancora precoce poter giudicare se la “riforma Moratti” rappresenti o meno la panacea per i mali dell’Università, ma certamente è possibile ipotizzare, che se nel prossimo futuro non si provvederà a rivedere l’organizzazione dei corsi di laurea, questi ultimi difficilmente potranno risultare funzionali.

 

L’apprezzabile tentativo di questo progetto di riforma, pur a “costo zero”, riguarda l’adozione del principio di meritocrazia del sistema di arruolamento dei docenti universitari. Il concorso unico nazionale rappresenta infatti la legittima aspirazione a cercare di valorizzare l’effettiva preparazione dei candidati al ruolo di docente universitario.

 

Fondamentale, inoltre, è a nostro avviso, l’individuazione di ulteriori fondi a sostegno della ricerca e di nuovi canali di promozione della stessa, magari con un fattivo ed orientato contributo anche del mondo dei privati e del lavoro. Il fenomeno della fuga dei cervelli deve essere debellato.

 

Si discute tanto in merito all’emigrazione di professionisti formatisi presso le nostre strutture trovando, molto spesso, una semplicistica spiegazione nella crisi del mercato del lavoro e attribuendo a questo ultimo una astratta responsabilità; infatti il mondo economico dovrebbe poggiare le proprie basi sulla qualità della formazione e l’attuale crisi economica sembra più frutto di una inadeguatezza della formazione rispetto ad una vera saturazione dell’economia.

 

Signori Docenti, mi preme sottolineare, come i giovani intelletti, costretti a lasciare la nostra nazione, siano spinti a farlo non tanto dalla mancanza di lavoro quanto dalla negazione di un “giusto lavoro” che possa concretizzare ciò che voi stessi tra mille difficoltà avete appassionatamente trasmesso, il sapere. Infatti, se è primario da parte delle istituzioni, un intervento per quanto riguarda le infrastrutture, è anche vero che le maggiori risorse di cui gode il nostro meridione sono quelle umane ed intellettuali.

 

Ed è per questo che l’Università di Catania può e deve continuare a rappresentare, un volano per lo sviluppo della nostra città e della nostra Regione. Investire nei giovani siciliani, è la più grande delle possibili battaglie autonomistiche che l’Università è chiamata ad affrontare. È necessario, infatti, un continuo dialogo con le istituzioni e le realtà territoriali, al fine di conoscere ed interpretare al meglio le reali esigenze delle aree geografiche in cui l’Università opera, per poter creare percorsi formativi in grado di soddisfare le esigenze lavorative peculiari del nostro territorio. In questo ambito si inserisce la necessità di adeguate sedi decentrate in grado di rispondere agli impulsi dettati dalle Province interessate.

 

Le sedi decentrate non devono trovare giustificazione in una semplice motivazione di carattere amministrativo o strutturale, ma devono rappresentare incentivi allo sviluppo del territorio e alla formazione di nuove competenze per i giovani siciliani affinché, possano agevolarne l’inserimento, mediante specifiche figure professionali, nel mondo del lavoro.

 

Molti dei colleghi che mi hanno preceduta nella celebrazione del discorso inaugurale dell’apertura dell’anno accademico, hanno sottolineato, con forza, l’importanza del cosiddetto diritto allo studio. Nonostante gli irrilevanti passi avanti compiuti, almeno dal punto di vista normativo, con la stesura della Legge Regionale, molto ancora c’è da fare, per assicurare agevoli condizioni di studio agli universitari. Il riferimento, in particolare, è al perdurare di una difficile situazione riguardante i servizi abitativi degli studenti, i cosiddetti fuori sede, infatti, vivono una difficile realtà nella morsa da un lato di un mercato nero con canoni di affitto incontrollati e nessuna garanzia dal punto di vista della tutela giuridica e dall’altro di una insufficiente disponibilità di alloggi messi a disposizione dell’ERSU.

 

Non può certo passare in secondo piano il continuo aumento dei costi generali per il mantenimento dello studente universitario. L’Ateneo catanese ha finora contenuto il prospettato aumento delle tasse di iscrizione, aumentando di contro gli interventi in favore degli studenti mediante contributi per i casi bisognosi o lo sconto del 27% sui testi universitari; è sicuramente da incentivare lo strumento del lavoro part-time offerto dall’Ateneo, che oltre alla possibilità di contribuire al mantenimento dello studente, gli consente anche una prima esperienza lavorativa e delle borse di studio, che attualmente rappresentano una goccia nel mare della politica di assistenza agli studenti.

 

Auspichiamo che l’Università di Catania, consapevole del ruolo di guida

per lo sviluppo di cui prima accennavamo, consideri priorità la pianificazione sia per ciò che riguarda l’Università intesa come Ente, e quindi una maggiore capacità di amministrarsi in termini di flessibilità e di dialogo con il territorio, sia per ciò che riguarda l’Ateneo inteso come centro di formazione culturale. Il nostro pensiero è che al di là dell’autonomia amministrativa, nessuna competizione può risultare davvero vincente se non si considera lo studente attore principale e non spettatore della vita universitaria.

 

Con questo spirito, vi ringrazio per l’attenzione concessa: buon anno accademico.


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