Riprendiamo da "Repubblica" un articolo di Peter Schneider, ex leader del '68 tedesco, scrittore e sceneggiatore. Sembra un remake del film "La sposa turca" di Fatih Akin. «Forse la vita in Anatolia è più moderna e laica che nei quartieri musulmani di Berlino» scrive Schneider, e conclude citando una scrittrice turca
Il nuovo muro di Berlino
La sera del 7 febbraio 2005, Hatun Surucu, 23 anni, è stata uccisa a Berlino-Tempelhof mentre andava ad una fermata dell´autobus. Tre dei suoi cinque fratelli sono ora sotto processo per omicidio. Figlia di turchi curdi, trascorse l´infanzia a Berlino, fu portata in Turchia e sposata ad un cugino. In seguito si separò dal marito e tornò a Berlino, incinta. All´età di 17 anni diede alla luce un figlio, Can. Evidentemente agli occhi dei suoi fratelli la gravissima colpa di Hatun Surucu era quella di aver iniziato, abitando in Germania, a vivere come una tedesca.
Sta sorgendo un nuovo muro nella città di Berlino. Per attraversarlo dovete andare nei quartieri centrali e settentrionali della città, a Kreuzberg, Neukoelln e Wedding e vi ritroverete in un mondo sconosciuto alla maggioranza dei berlinesi. Fino a poco tempo fa gran parte dei berlinesi era fedele all´illusione che la convivenza con circa 300.000 immigrati e figli di immigrati musulmani fondamentalmente funzionasse. Prendiamo Neukoelln. Il quartiere si vanta di ospitare cittadini di 165 nazioni. Il gruppo di gran lunga più numeroso, circa il 40 per cento, è costituito da turchi e curdi, seguiti dagli arabi.
Secondo quanto mi ha spiegato Stefanie Vogelsang, consigliere comunale di Neukoelln, i residenti parlano dei “nostri turchi” in maniera inequivocabilmente amichevole, benché siano molto meno gentili nei confronti degli arabi, arrivati decenni dopo i turchi e spesso illegalmente. Ma l´atteggiamento tollerante nei confronti degli immigrati musulmani iniziò a mutare dopo l´11 settembre 2001.
A latere delle dichiarazioni di “incondizionata solidarietà” agli americani da parte della maggioranza dei tedeschi, a Neukoelln e Kreuzberg si tenevano manifestazioni di genere diverso. Dai cortili delle palazzine si sparavano dei petardi, fuochi d´artificio dei poveri, sporadici, sparsi, allegri, due botti qui, tre là. Nell´insieme però erano centinaia i petardi sparati verso il cielo per festeggiare l´attacco. Molti tedeschi abitanti a Neukoelln e Kreuzberg, ricordava la Vogelsang qualche tempo fa, smisero per la prima volta di chiedersi chi fossero davvero i loro vicini di casa.
Il grande pubblico tedesco ha iniziato a preoccuparsi del mondo musulmano parallelo che sorgeva al suo interno soprattutto grazie a tre scrittrici: Seyran Ates, autrice di “Große Reise ins Feuer” «The Great Journey Into the Fire», Necla Kelek (“Die Fremde Braut” «The Foreign Bride») e Serap Cieli («We´re Your Daughters, Not Your Honor»). Partendo dalle loro esperienze personali queste donne descrivono le vite tetre e tristi delle musulmane in quel modello di democrazia occidentale che è la Germania.
Seyran Ates calcola che ogni anno forse la metà delle giovani donne turche residenti in Germania sono costrette al matrimonio. A questi matrimoni forzati spesso seguono violenze e abusi sessuali, la sposa non ha altra scelta che compiere i suoi doveri di moglie in un matrimonio combinato dai genitori e dai suoceri. Donne velate con indosso lunghi cappotti anche in estate sono un´immagine sempre più comune nei quartieri musulmani in Germania.
In base alla ricerca di Necla Kelek si tratta soprattutto di ragazze minorenni che sono state comprate, spesso a caro prezzo, nei villaggi dell´Anatolia da madri i cui figli, in Germania, sono pronti per il matrimonio. Le giovani vengono quindi portate in aereo in Germania e «con ogni nuova sposa importata», dice la Kelek, «la società parallela cresce». Nel frattempo, sintetizza la Ates, «i turchi che hanno intenzione di contrarre matrimonio e vivere secondo la shariah possono farlo con molta meno difficoltà a Berlino che ad Istanbul».
Dopo il 1945, la Germania, nella fase della ricostruzione, aveva bisogno di un gran numero di lavoratori e diede avvio a campagne di reclutamento nei paesi poveri dell´Europa e sulle coste del Mediterraneo: in Italia, Spagna, Grecia, Turchia, Tunisia e Marocco. Non a caso i lavoratori stranieri furono chiamati gastarbeiter, lavoratori ospiti. Ci si aspetta che gli ospiti, dopo qualche tempo, se ne vadano.
Naturalmente le cose non sono andate come previsto. Alla fine gli immigrati musulmani vollero farsi raggiungere dalle famiglie, per dare ai figli un´istruzione e un futuro migliore. La Germania non concesse ai lavoratori ospiti il passaporto o il diritto di voto, ma li ricompensò integrandoli nel sistema sociale e dando loro opportunità di avanzamento sociale. Di qui l´ascesa di una classe media musulmana, relativamente numerosa, rispetto alla Francia o all´Inghilterra, che contribuisce per circa 39 miliardi di euro l´anno al prodotto interno lordo e per miliardi ai fondi pensionistici nazionali.
Ma finito il miracolo economico tedesco la condizione più importante di questo precario idillio venne a mutare. Benché il reclutamento attivo di manodopera si fosse interrotto già nel 1973, un numero sempre crescente di turchi e curdi si trasferì in Germania in base ad una norma sul ricongiungimento familiare. E questi genitori, mogli, mariti e figli portarono il loro tradizionale stile di vita nelle strade tedesche. Mentre durante i primi anni di immigrazione le donne turche indossavano abiti occidentali, ora giravano con lunghe gonne a fiori, giacche fatte ai ferri e fazzoletti legati stretti in testa. Nei retrobottega dei fruttivendoli e delle macellerie halal spuntarono stanze dedicate alla preghiera che col tempo divennero moschee.
Necla Kelek ha chiesto ad un gruppo di “spose importate” che vivono in Germania da anni come si fossero preparate al loro futuro in quel paese. Hanno riso incredule. Prepararsi? Come e per cosa? «Ma come fate a vivere qui?», proseguiva Necla Kelek. «Non avete nulla a che spartire con questo paese, ne disprezzate la cultura, e il modo di vivere». Ma noi abbiamo tutto quello che ci serve qui, è stata la risposta. Non abbiamo bisogno dei tedeschi. Circa un centinaio di migliaia di immigrati musulmani hanno potuto continuare a vivere, in Germania, come i loro antenati in Anatolia. Anzi, forse la vita in Anatolia è più moderna e laica che nei quartieri musulmani di Berlino.
Per più di 20 anni la Federazione Islamica di Berlino, un´organizzazione ombrello di associazioni e moschee islamiche ha lottato nei tribunali di Berlino per garantire l´insegnamento della religione islamica nelle scuole locali. Nel 2001 la federazione finalmente è riuscita nel suo intento. Da allora varie migliaia di alunni musulmani delle scuole elementari hanno avuto insegnanti assunti dalla Federazione Islamica e pagati dal comune di Berlino. Gli amministratori comunali non sono in grado di controllare l´insegnamento della religione islamica. Spesso i contenuti delle lezioni non corrispondono ai programmi presentati in tedesco. Adducendo a giustificazione le difficoltà linguistiche degli studenti gli insegnanti frequentemente tengono le lezioni in turco o in arabo, spesso a porte chiuse.
Da quando è stato introdotto l’insegnamento della religione islamica il numero di ragazze che vanno a scuola velate è aumentato all´improvviso e le segreterie sono inondate e di giustificazioni per la mancata partecipazione alle lezioni di nuoto e di ginnastica e alle gite scolastiche. Il consigliere Stefanie Vogelsang sottolinea che la maggior parte delle moschee di Neukoelln sono aperte al mondo come sono sempre state e che continuano ad occuparsi dei bisogni dell´integrazione. Ma le comunità religiose radicali stanno guadagnando terreno. Indica, ad esempio, l’Imam Reza Mosque, la cui home page, fino ad una recente revisione, elogiava gli attacchi dell´11 settembre, definiva le donne esseri umani inferiori e si riferiva ai gay e alle lesbiche come a degli animali. «E questa roba – dice irritata – continua ad essere difesa dalla sinistra in nome della libertà religiosa».
Questa è la provocazione del tutto inaspettata delle tre autrici ribelli: un attacco frontale al relativismo della maggioranza. In realtà combattono su due fronti, contro l´oppressione islamica delle donne e i suoi fautori e contro la tolleranza, carica di sensi di colpa, dei sostenitori del multiculturalismo liberale. «Prima di arrivare ai patriarchi islamici devo farmi strada tra queste montagne di colpa tedesca”, lamenta Seyran Ates.
Le politica tedesca dell’immigrazione (e il multiculturalismo liberale) sono solo una faccia della medaglia. L´altra faccia è il rifiuto attivo ad integrarsi da parte di molti appartenenti alla comunità musulmana. E´ un´illusione credere che un passaporto tedesco, o francese o olandese il pieno riconoscimento dei diritti siano sufficienti a fare di tutti i musulmani dei leali cittadini. «Gli attentati di Londra», dice Seyran Ates «agli occhi di molti musulmani sono stati un bello schiaffo alla comunità occidentale. I prossimi attentatori saranno figli della terza e quarta generazione di immigrati che, sotto gli occhi di politici dalle buone intenzioni saranno allevati dalla nascita all´odio contro la società occidentale». E´ solo questione di tempo, dice la Ates, prima che Berlino subisca attentati come quelli di Londra e Madrid.
All’epoca della nostra conversazione non si erano ancora verificati i disordini in Francia. Politici e studiosi di ogni credo religioso indicano giustamente che esistono numerose forme di Islam, che non si dovrebbero confondere Islamismo ed Islam e che nel Corano non c´è una frase che giustifichi l´omicidio. Ma sostenere che il fondamentalismo islamico radicale e l´Islam non hanno nulla a che spartire equivale ad affermare che non esisteva alcun legame tra stalinismo e comunismo.
Il fatto è che il disprezzo dei diritti delle donne, soprattutto il diritto all´autodeterminazione sessuale è parte integrante di quasi tutte le società islamiche, comprese quelle in occidente. Se questo problema non sarà risolto, con una corrispondente riforma dell´Islam per come viene praticato in occidente, non si avrà mai un´efficace integrazione culturale.
L’Islam ha bisogno di una sorta di illuminismo e solo mantenendosi fedele al proprio illuminismo che separa religione e stato, le democrazie occidentali possono persuadere i loro abitanti musulmani che i diritti umani sono un valore universale. Forse questo porterà alle riforme necessarie al successo dell´integrazione. «Noi donne musulmane occidentali», dice Seyran Ates, «daremo il via alla riforma dell´islam tradizionale, perché ne siamo le vittime».
[Copyright New York Times – La Repubblica. Pubblicato su “La Repubblica” del 5-1-2006 col titolo: Immigrati il nuovo muro che divide la Germania. Traduzione di Emilia Benghi]