Sei aziende, due quote societarie, 48 beni immobili, 43 mezzi e due conti correnti. Sono scattati i sigilli su parte del patrimonio di Giovanni Buscemi, Massimo Oliva e Giuseppe Rindone, condannati recentemente nel primo grado del processo Iblis a 12 anni per associazione mafiosa. Il loro ruolo nel Calatino era stato ricostruito dai pubblici ministeri: «In quanto imprenditori, il loro ruolo era quello di fare da trait dunion tra la famiglia mafiosa e le imprese nella consegna del denaro»
Iblis, sequestrati beni per 2,5 milioni di euro Colpiti tre uomini di Cosa Nostra del Calatino
Dopo la condanna per associazione mafiosa, arrivano i primi sequestri e confische a seguito del processo Iblis, sulle relazioni tra politici, imprenditori e Cosa Nostra in provincia di Catania. I sigilli sono scattati su società, beni immobili, automezzi e conti correnti per un valore di due milioni e 500mila euro di proprietà di Giovanni Buscemi, Massimo Oliva e Giuseppe Rindone. Tutti condannati lo scorso nove maggio in primo grado a 12 anni per associazione mafiosa. Sono stati riconosciuti dai giudici organici dell’organizzazione criminale nel territorio del Calatino, delle famiglie di Catania, Ramacca e Caltagirone. Nel corso del processo il loro ruolo è risultato determinate a Palagonia, anche grazie all’aiuto della politica, in particolare dell’ex sindaco Fausto Fagone, anche lui condannato a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Catania hanno eseguito i decreti di sequestro e confisca ordinati dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale: in totale sei aziende – due quote societarie, 48 beni immobili , 43 mezzi e due conti correnti.
Il pubblico ministero Agata Santonocito descriveva così, durante un’udienza di Iblis, Buscemi e Oliva: «Mafiosi imprenditori, uniti a livello lavorativo, criminale e personale. In quanto imprenditori, il loro ruolo era quello di fare da trait dunion tra la famiglia mafiosa e le imprese nella consegna del denaro». Di loro ha parlato anche il collaboratore di giustizia Giuseppe Mirabile: «Quelli che facevano i lavori per conto nostro». E tra questi i lavori per il metanodotto e le vie di fuga di Palagonia. I beni di Rindone erano già stati oggetto di sequestro nel dicembre del 2012.