15 settembre 1866: la Sicilia si ribella agli sgherri di casa Savoia

“I militanti ed i simpatizzanti del Fronte Nazionale Siciliano ‘Sicilia Indipendente’ ricordano, con legittimo orgoglio e con grande emozione che, il 15 settembre del 1866 (dopo appena cinque anni dalla proclamazione del Regno d’Italia), a Palermo e in altri centri della provincia, ebbe luogo la grande sommossa ‘INDIPENDENTISTA’ che sarebbe stata denominata (per la sua durata) “RIVOLTA DEL SETTE E MEZZO”. (foto tratta da
cittanuovecorleone1.blogspot.com)

Così i dirigenti del Fronte nazionale siciliano Giuseppe Sciano, Corrado Mirto e Giovanni Basile ricordano oggi l’anniversario della cosiddetta ‘Rivolta del Sette e mezzo’, chiamata così perché durò sette giorni e mezzo. Fu il tentativo, generoso, di Palermo e di altri centri della provincia di liberarsi dall’odiosa e criminale dominazione piemontese.

“La rivolta, bene organizzata ed, in qualche modo, anche preannunziata – ricordano Scianò, Mirto e Basile – fu largamente partecipata e coinvolse la Città e non pochi Comuni della Provincia di Palermo. In qualche caso coinvolse, per brevissimo tempo, alcuni Comuni di altre Province. Il vero epicentro rimase, però, la ‘Capitale’ della Sicilia”.

“Molti furono i successi iniziali dei ‘ribelli’. Ed incalcolabile il numero dei ‘caduti’ dell’una e dell’altra parte, sin dai primi scontri – ricordano i dirigenti del Fronte nazionale siciliano -. La situazione appariva così grave che il Governo Britannico inviò una flotta di Grandi navi da guerra, con a bordo truppe da sbarco, nella rada del porto di Palermo, per intervenire in aiuto delle truppe del Regno d’Italia, nel caso in cui – come sembrava che stesse per accadere – i ribelli siciliani avessero avuto definitivamente, la meglio”.

Gli inglesi, per la cronaca, avevano grandi interessi in Sicilia: ma anche interessi geopolitici nel Mediterraneo: non a caso avevano protetto, insieme con la mafia siciliana, la sceneggiata dell’impresa dei Mille.  

“Il Governo italiano, che allora aveva sede a Firenze – ricordano sempre Scianò, Mirto e Basile – e che già aveva fatto affluire a Palermo le navi ed i contingenti militari disponibili in Sicilia e nel Meridione d’Italia, constatata la portata della rivolta, mandò su Palermo l’intera flotta militare (ancora in stato di mobilitazione, in quanto, pur essendo praticamente finita la Terza guerra d’indipendenza contro l’Austria, non era stato sottoscritto il Trattato definitivo di pace)”.

“L’ordine era uno solo – scrivono sempre i dirigenti del Fronte nazionale siciliano -: bombardare senza pietà la Città di Palermo, prima che la rivolta potesse estendersi a tutta la Sicilia. Con gli stessi criteri e le stesse motivazioni, fu inviata su Palermo un’armata di 40.000 soldati. Erano le migliori forze dell’Esercito italiano e vantavano una fortissima dotazione di artiglieria”. 

Già allora la Sicilia aveva capito che la dominazione piemontese sarebbe stata una sciagura (e così fu, al di là delle retorica dei pennivendoli passati alla storia come storici). E cercava di liberarsi dalla disgrazia che, pomposamente, veniva chiamata “Unità d’Italia”. In realtà, come già in quegli anni appariva a chiare lettere, era solo la ‘Conquista del Sud’ attuata da Casa Savoia.

“Il Comando supremo delle operazioni militari – ricordano i dirigenti dell’Fns – fu affidato al Generale Raffaele Cadorna, che fu nominato anche Commissario regio con pieni poteri. Fu, quindi, proclamato lo stato d’assedio  La carta vincente, per l’Esercito di Vittorio Emanuele II, fu quella dei bombardamenti da terra e da mare. Le distruzioni furono immense; il numero delle vittime fu incalcolabile”.

“Fu sostanzialmente una vittoria di stampo prettamente colonialista – ricordano Scianò, Mirto e Basile -. Alla vittoria delle bombe fecero seguito rastrellamenti, esecuzioni sommarie e rappresaglie, dentro e fuori le mura della Città. Le violenze e le persecuzioni (che definire naziste ante litteram è riduttivo) si sarebbero protratte addirittura per qualche anno ancora. Il tutto, quasi sempre, senza processi e senza verbali di alcun tipo”.

Questa era l’Italia del 1866: un’Italia, anzi un’Unità d’Italia fatta da criminali con mezzi criminali e con militari che erano peggio dei criminali. Cosa poteva venire fuori da un Paese del genere? E perché, se i nostro passato è questo meravigliarsi delle trattative tra Stato e mafia?  

“I veri e propri processi furono relativamente pochi e puramente simbolici – ricordano ancora Scianò, Mirto e. Basile -. Al Governo italiano interessavano, infatti, il silenzio assoluto e la disinformazione su quella rivoluzione e, soprattutto, sulle stragi, sulle violenze e sulle palesi violazioni dei Diritti Umani che la Sicilia continuava a subire e delle quali esistono, tuttavia, documentazioni inoppugnabili”.

E infatti, grazie agli storici italiani da primo Coro dell’Adelchi, sui libri di storia di questo nostro falso e ipocrita Paese, ancora oggi, si celebrano le ‘Cinque giornate di Milano’, ma nulla viene detto della rivolta del ‘Sette e mezzo’. Razzisti anche in questo, gli storici italiani: Milano sìe Palermo no.

Proprio stamattina il nostro giornale ospita un articolo del nostro Ignazio Coppola che, giustamente, polemizza con la prosopopea degli storici ‘officiali’ del nostro Paese, che pensano di essere gli unici depositari delle ‘verità’ storiche. Pronti, perfino, a smentire i documenti ufficiali pur di mantenere in piedi verità di comodo. Miserie umane che si sommano alle miserie delle università italiane dove, se non ricordiamo male, il merito è stato soppiantato dalle esigenze delle varie famiglie di docenti che ‘sistemano’ mogli, figli, figlie e amanti…   

“I fatti – tornando alla rivolta del’Sette e mezzo’ – dimostravano che i Siciliani erano rimasti sempre fedeli al loro ideale indipendentista. La rivolta testimoniava anche che tutto ciò che era stato raccontato e scritto fino a quel momento, – all’interno del mito e delle favole sul Risorgimento era stato falso o era stato manipolato sfacciatamente. Ad iniziare dalla storiella dello svolgimento e dei risultati del PLEBISCITO del 21 ottobre 1860”.

“Nella ricorrenza del 146° anniversario – concludono Scianò, Mirto e Basile – l’Fns si farà carico di illustrare i contenuti ed i significati di questa grande rivolta (usare il termine RIVOLUZIONE non sarebbe sbagliato) con una serie di conferenze e con la pubblicazione di documenti e di informazioni. E, ciò, non già per finalità revansciste, ma per ricendicare, ancora una volta, il diritto alla verità’ ed il diritto al recupero della memoria storica come diritti fondamentali del Popolo Siciliano, della Nazione Siciliano- Antudu”.

 

 

 

 

 

Redazione

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