Sono entrambi accusati di voto di scambio per le elezioni regionali 2012. Avrebbero promesso a Ernesto Privitera, Angelo Marino e Giuseppe Giuffrida (tutti imputati nel procedimento) posti di lavoro in una società di gestione della nettezza urbana. Dei tre, Giuffrida sarebbe stato effettivamente assunto. Ma un difetto di notifica proprio a quest'ultimo ha fatto slittare l'udienza al prossimo autunno. Quando sarà già passato un anno dalla citazione in giudizio e il giudice sarà sostituito
Voto di scambio, i Lombardo a processo Subito un rinvio a ottobre per Raffaele e Toti
Iniziato e dopo pochi minuti rinviato per un difetto di notifica a uno degli imputati, Giuseppe Giuffrida. Il processo a carico di Raffaele e Toti Lombardo, accusati di voto di scambio per le scorse elezioni regionali, ha immediatamente subito una battuta d’arresto. Ed è stato messo in stand-by fino al 9 ottobre 2014, data in cui si terrà la prossima udienza nella quarta sezione penale del tribunale di Catania, quando sarà trascorso ormai un anno dalla richiesta di citazione in giudizio formulata dai procuratori Lina Trovato e Rocco Liguori.
La vicenza ha avuto inizio il 9 luglio 2013, quando dagli uffici della procura di piazza Verga è stata trasmessa una nota che comunicava la chiusura delle indagini a carico dell’ex governatore della Regione Sicilia e del suo giovanissimo 25 anni figlio d’arte. L’accusa per entrambi è di aver promesso posti di lavoro in cambio di voti per il rampollo, eletto con quasi diecimila preferenze all’Assemblea regionale siciliana, il 28 ottobre 2012. Secondo i magistrati etnei, i due politici avrebbero concordato con Ernesto Privitera, Angelo Marino e Giuseppe Giuffrida tutti e tre indagati per concorso in voto di scambio assunzioni in una società di raccolta dei rifiuti. Il reato si sarebbe consumato il 18 marzo 2013, quando uno di questi, Giuseppe Giuffrida, è stato effettivamente assunto. Un comportamento, quello dei Lombardo, che, se provato, sarebbe molto lontano dalle posizioni che lo stesso Toti aveva sostenuto in un’intervista, pochi giorni prima di arrivare, trionfante, a Palazzo d’Orleans: «Io non intendo far fare affari a nessuno», aveva detto. E, incalzato sul clientelismo, aveva replicato: «Credo che sia il momento di annientare i meccanismi clientelari che sono stati usati fino a oggi per creare consenso. È una sorta di schiavismo che subisce la gente nei confronti della classe dirigente». A queste parole, però, secondo la procura etnea non sarebbero seguiti i fatti.
L’incriminazione per voto di scambio non è nuova in famiglia: Raffaele Lombardo è stato condannato a febbraio 2014 a sei anni e otto mesi di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato. Adesso, seppure senza l’aggravante legata alla criminalità organizzata, il fu uomo più potente di Sicilia deve di nuovo difendersi in un’aula di tribunale. Stavolta assieme al suo erede politico, nel corso di un procedimento che parte a singhiozzo.
Il ritardo è dovuto al fatto che uno degli imputati, Giuseppe Giuffrida, non avrebbe ricevuto la notifica dello svolgimento dell’udienza. «Probabilmente perché vive dai suoceri», spiega Giuseppe Ragazzo, avvocato difensore dell’uomo. Tutto da rimandare, quindi, e una data più vicina di ottobre non è possibile fissarla: «Sarò trasferito entro metà giugno annuncia il giudice monocratico Alessandro Centonze e il collega che mi sostituirà dovrà arrivare entro fine settembre». Per allora è stata disposta una nuova notifica a Giuffrida, stavolta tramite il personale di polizia giudiziaria, «per non perdere altro tempo», precisa il procuratore Liguori. Che anticipa: «Tenteremo di procedere il più velocemente possibile, vigilando affinché non ci si avvicini pericolosamente ai termini della prescrizione». I quali, per il reato di voto di scambio, sono lunghi quattro anni. E uno è già passato.