Mentre si montano le telecamere puntate sull'effige sacra, la soprintendenza ai Beni culturali assicura: «Il rosa sparirà». Ma Gesualdo Campo, ex dirigente dell'ente, non risparmia le polemiche: «Ogni cosa ha un proprietario e quel bene è dell'amministrazione, lo controlli». Guarda le foto
Via Dusmet, parte ripristino della fontana di S. Agata Gesualdo Campo: «Tutelarla è compito del Comune»
«Nulla è di nessuno, ogni cosa ha un proprietario ed è a lui che spetta tutelare quel bene». Lo denuncia l’ex dirigente alla soprintendenza ai Beni culturali Gesualdo Campo, riferendosi alla fontana di Sant’ Agata di via Dusmet, danneggiata poco più di un mese fa e recentemente restaurata su iniziativa di ignoti. «Un intervento inappropriato e non autorizzato», aggiunge l’attuale soprintendente Maria Grazia Patanè, che dopo avere appreso da MeridioNews la notizia della nuova tinteggiatura dell’altarino ha avviato gli interventi di ripristino. Resta alta, quindi, l’attenzione sull’edicola votiva, ma non solo per il suo intonaco rosa acceso. «La soprintendenza ha dichiarato in passato che sono troppe le opere di cui deve occuparsi sul territorio etneo e che non può garantire su tutte adeguata vigilanza – continua Campo -, ma ci sono solo due significative rappresentazioni in centro storico della Santa, l’altra è quella sul bastione di Sant’Agata al carcere, attorno alla finestrella della cella in cui pare che la Santa sia stata reclusa, ed entrambe insistono sulle mura urbiche costruite da Carlo V. Sono fortificazioni cittadine e il proprietario si chiama Comune di Catania». «Le operazioni avviate da questa soprintendenza confermano la regolarità e la continuità dell’esercizio istituzionale di tutela sul patrimonio culturale del territorio di competenza», replica Patanè. Già venerdì è stato disposto un sopralluogo sul posto e avviato l’intervento di protezione della statua, per successivamente tinteggiare l’intonaco «dopo la presentazione di alcuni provini da parte dei funzionari comunali».
La proposta avanzata dall’architetto catanese Gesualdo Campo, però, va oltre ed è quella di dotare l’area della fontana, oltraggiata più volte da atti vandalici, di un sistema di videosorveglianza. Idea verso la quale l’amministrazione si era già mossa. Dell’installazione delle telecamere si occupa in questi giorni un’azienda privata, il gruppo Di Bella, attiva nel settore dell’energia, che aveva avanzato a febbraio una proposta alla giunta comunale. «Il servizio di telecamere è stato montato cinque giorni dopo l’ultimo episodio vandalico – spiega Daniele Di Bella, amministratore della ditta -, manca solo l’allaccio elettrico che verrà ultimato entro la prossima settimana». Le immagini, a quel punto, saranno visibili dal comando dei vigili urbani grazie a un collegamento alla rete wi-fi del Comune e anche da qualunque supporto tecnologico, inserendo la password di accesso, quindi su tablet e smartphone. Vale la pena ricordare alla cittadinanza, secondo l’architetto Campo, la necessità di proteggere l’opera, il suo valore simbolico, l’occasione della sua esecuzione e perché la fontanina, rimasta intatta tra le macerie del devastante terremoto del 1693, si trova in quel luogo.
È per volere del re di Sicilia Filippo IV di Spagna che fu realizzata una «banchina lungomare ai piedi delle mura urbiche fatte costruire per volontà dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, che di ritorno nel 1535 dalla vittoriosa campagna di Tunisi, – spiega Campo -, dopo aver circumnavigato la Sicilia e raccolto trionfi, si rese conto dell’inadeguatezza delle precedenti fortificazioni normanne rispetto all’avanzamento delle tecniche belliche». La banchina fu inaugurata nel 1621 con il nome di strada Lanaria (oggi via Dusmet), e «Don Francesco Lanario volle che l’evento fosse ricordato da una lapide celebrativa con doppia cornice collocata sotto la protezione del busto marmoreo di Sant’Agata incoronata, datato 1632 – continua l’architetto – al di sopra di un’ampia conca a forma di conchiglia pellegrina rovesciata, in cui si raccoglie l’acqua che sgorga da tre canne verticali, e inserita in un portale cieco lungo le mura carloquintiane, nel tratto in corrispondenza dell’attuale palazzo arcivescovile, nel luogo della non più esistente cappella di San Giorgio».
Oggi, secondo Campo, spetterebbe all’amministrazione del capoluogo etneo occuparsi dell’opera, perché questa, spiega l’ex soprintendente, «è soggetta alla disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio non solo per norma di legge, essendo un bene pubblico realizzato da oltre settant’anni, ma anche per iniziativa amministrativa, avendone il Dipartimento regionale dei Beni culturali finanziato il restauro con decreto del 4 dicembre 2007». «Il rosa verrà eliminato – assicura oggi la soprintendente Patanè – I funzionari del Comune concordano con noi. Abbiamo chiesto un grigio più neutro possibile e più vicino alla pietra lavica delle mura».