Unione Europea e Italia: la sceneggiata dell’Imu

Da giorni i quotidiani e le tv del nostro Paese rilanciano e commentano la notizia in base alla quale l’Unione Europea avrebbe definito “inizia” l’Imu, l’Imposta sulle case che ha ‘alleggerito’ le tasche degli italiani. In realtà, si tratta di un equivoco, perché il rapporto “Employment and Social developments in Europe 2012”, realizzato dalla Commissione Europea non parla dell’Imu, ma dell’Emu (che è l’acronimo inglese di European Monetary Fund) e che, anche se ha la stessa pronuncia, non ha proprio niente a che vedere con l’Imu italiana… Una storia incredibile (ancora al centro del dibattito politico nell’attuale campagna elettorale, con Berlusconi e Tremonti – due esempi a caso – che senza avere ancora capito nulla, continuano a discettare su un equivoco. Vediamo di che si tratta.

I media oggi hanno un potere enorme. Basti pensare al clamore sollevato, nei giorni scorsi, dal commento del portavoce del commissario UE agli Affari sociali sulla ricerca condotta dalla Commissione Europea.

Oggi è praticamente impossibile per tutti noi conoscere dettagliatamente (come, invece, sarebbe giusto) quanto avviene nel nostro Paese e nel mondo. Eppure su tali argomenti siamo portati a esprimere giudizi, direttamente o indirettamente, tramite i nostri rappresentanti. Spesso si è costretti a compiere scelte importanti su argomenti essenziali per la vita di tutti i giorni e per il futuro nostro e dei nostri figli sulla base di ciò che ci viene propinato dai media o, ancora peggio, sulla base di ciò che politici e imprese fanno dire ai media. Ciò assume dimensioni ridicole e risibili in alcuni momenti particolari come, ad esempio, in prossimità di elezioni, o in occasione di campagne di marketing (come quella recentemente lanciata sul territorio nazionale da una famosa catena di fast food, di cui volutamente non facciamo il nome per non farle ulteriore pubblicità).

Questo problema, già venuto alla luce diverse volte nel recente passato (ad esempio, sarebbe interessante sapere quanti hanno approfondito la conoscenza dei testi degli ultimi referendum, quanti hanno letto il contenuto del bilancio della Regione Sicilia oppure, ancora, quanti hanno letto gli oltre 540 commi in cui si articolava la manovra finanziaria appena approvata dal Governo nazionale).

Ultimo esempio di questo è stata la notizia diffusa da quasi tutti i telegiornali a proposito della presunta bocciatura, da parte della Commissione Europea, dell’Imu adottata dal Governo Monti. Molti telegiornali hanno messo la notizia in prima pagina. Pochi però hanno detto che tutto nasce dalla pubblicazione nei giorni scorsi del rapporto “Employment and Social developments in Europe 2012”, realizzato dalla Commissione Europea.

Ebbene, nelle 475 pagine che compongo lo studio la parola Imu non è mai pronunciata. Viene pronunciata la parola Emu (che è l’acronimo inglese di European Monetary Fund) e che, anche se ha la stessa pronuncia, non ha proprio niente a che vedere con l’Imu italiana.

Ciò ha costretto Jonathan Todd, portavoce del commissario UE agli Affari sociali, Laszlo Andor, a presentare una smentita o meglio una rettifica con la quale si precisa “che l’analisi del rapporto odierno sull’impatto sulla povertà della tassa sulla proprietà italiana 1) riguarda la situazione del 2006, e non la nuova tassa; 2) indica che l’impatto (della allora Ici ndr) è stato molto lieve e molto minore della tassa sulla proprietà” in altri Paesi UE come il Regno Unito. Quanto alla nuova tassa italiana sulla proprietà Imu, “il rapporto non analizza il suo impatto redistributivo e non suggerisce che la riforma abbia avuto alcun effetto negativo sulla povertà o sulla distribuzione dei redditi”, ha specificato il portavoce.

Ebbene a quanto pare anche il sig. Todd pare non abbia letto il rapporto in questione. Lo studio della Commissione Europea, infatti, si riferisce al periodo dal 2011 e ai primi sei mesi del 2012 (per ciò che riguarda la tassa di possesso, che si chiami Imu, Ici o, in inglese, property tax) con un confronto con l’andamento dalla fine degli anni Novanta al periodo in esame e con una analisi in prospettiva per il 2020. Quanto al fatto se lo studio suggerisca o meno se “la riforma abbia avuto alcun effetto negativo sulla povertà o sulla distribuzione dei redditi”, anche questo non è del tutto vero, in quanto scopo dello studio era proprio quello di analizzare gli effetti di alcune imposte sulla ricchezza o sulla povertà di alcuni Stati dell’Unione Europea.

Appare evidente che questo ripetersi di dichiarazioni, smentite e disinformazione non fanno altro che creare confusione in una situazione già di per sé complicata. Unico dato certo, alla fine, è che la gente non saprà mai come stavano realmente le cose.

Pochi alla fine sapranno (perché pochissimi ne hanno parlato e ancora meno scritto) che le conclusioni cui sono giunti i ricercatori della Commissione Europea sono che un elevato livello di tassazione del lavoro ostacola l’offerta di lavoro di diverse tipologie di lavoratori, che la riduzione fiscale potrebbe avere effetti positivi relativamente forti sia dal lato della domanda (abbassamento del costo del lavoro) che dal lato dell’offerta (aumento dei salari netti).

Pochi giornali e poche televisioni hanno sottolineato che un altro dei risultati cui sono giunti i ricercatori è che la scarsa qualificazione della forza lavoro (che sarebbe il risultato della riduzione delle somme destinate alla ricerca e all’alta formazione dal governo Monti) porterebbe un sempre maggior numero di persone a non investire in maggiori competenze, ma a rimanere poco qualificate e ciò finirebbe per avere effetti negativi rilevanti sull’economia.

Di più: concentrare la ricchezza su poche persone avrebbe, come effetto collaterale, una modifica della distribuzione del reddito con la conseguenza che coloro che non fanno parte della cerchia degli “eletti” correrebbero il rischio di essere esclusi dal mercato del lavoro e, al tempo stesso, sarebbero costretti ugualmente a pagare maggiori tasse (come avviene già oggi con l’aumento dell’Iva o con l’imposta sulla prima abitazione).

A proposito di tasse, i risultati della ricerca affermano che un aumento di tasse come l’Iva, l’imposta sugli immobili, le tasse “verdi” avrebbe effetti sfavorevoli, con conseguenze sul reddito per i nuovi disoccupati e pensionati e una penalizzazione delle famiglie più povere. (Per coloro i quali volessero approfondire quanto ora riportato, come sarebbe giusto e legittimo, si rimanda alle pagine 285 e seguenti del rapporto disponibile sul sito http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=en&pubId=7315&type=2&furtherPubs=no).

È evidente che per il premier (o meglio ex premier) non deve essere stato piacevole sentirsi dire dalla Commissione Europea, di cui è stato commissario per molti anni, che le scelte economiche adottate dal proprio Governo sono esattamente l’opposto di ciò che sarebbe stato utile per risolvere molti dei problemi sociali del nostro Paese. Tanto più che tale “rimprovero” viene reso pubblico nel momento in cui ha deciso di scendere in campo per le ormai prossime elezioni.

Forse deve essere stato anche peggio che sentirsi dire dal suo predecessore (anche lui di nuovo in corsa per le prossime elezioni così come il suo mentore economico, Tremonti) che l’Imu è da eliminare (come ha, appunto, detto Berlusconi) e che per quanti l’avessero già pagata sarebbe giusto adire le vie legali perché incostituzionale e chiederne la restituzione (come affermato da Tremonti). Dimenticando, tutt’e tre, che la manovra che ha portato all’introduzione dell’Imu era stata firmata da Tremonti e da Berlusconi che avevano riconosciuto ai Comuni la possibilità di deliberare, a partire dal 2012, aumenti dell’addizionale comunale fino a raggiungere un’aliquota massima complessiva pari allo 0,8%, come compensazione dell’aumento “congelato” nel 2008 dallo stesso Tremonti, e che la stessa Imu è stata attuata da Monti.

Ora che i tre sono candidati (insieme a molte altre vecchie volpi) alle prossime elezioni, fa comodo strumentalizzare, grazie alla forza dei media, che, in un modo o nell’altro controllano e gestiscono, le polemiche su ciò che la Commissione Europea ha detto e distogliere l’attenzione degli elettori dal sonoro rimprovero per le scelte fatte negli ultimi anni che è la realtà contenuta nello studio pubblicato nei giorni scorsi.

Forse riusciranno anche a spiegare agli italiani come mai il documento della Commissione Europea parla di “Patto di Stabilità e Crescita”, mentre in Italia i nostri governanti hanno fatto sì che si parlasse solo di Patto di Stabilità, omettendo causalmente (e non casualmente), consci dei deludenti risultati che, anno dopo anno, non vengono raggiunti la parola “Crescita”.

 

 


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