Vauro Senesi e Fabrizio Gatti discutono di corruzione e satira, e ci ciò che differenzia questultima dallatteggiamento giullaresco verso il potere. Un incontro dedicato a Vittorio Arrigoni, volontario ucciso a Gaza
«Un Paese malato di comicità»
Molti, entrando nell’antica sala dei Notari a Perugia per assistere alla presentazione del libro “Farabutto. Dichiarazioni d’amore molesto” di Vauro Senesi si aspettavano forse che si cominciasse con una battuta e una risata. Si sbagliavano. Il vignettista satirico e il giornalista Fabrizio Gatti hanno aperto l’incontro con un nome e una dedica: a Vittorio Arrigoni, il volontario rapito e ucciso a Gaza. Così, un lungo commosso applauso ha preso il posto della risata. Un applauso difficile da fare per Vauro: «Sarebbe l’ora di smettere di applaudire morti – dice – perché quando una persona di pace come Vittorio muore, non c’è da applaudire ma da interrogarsi».
Innanzitutto interrogarsi sul perché della sua morte: «È facile capire chi teme le persone di pace: sono le persone di guerra. Chi vuole, fa e giustifica la guerra, chi ci guadagna e specula, tutti questi hanno ucciso Vittorio. Chi mente e dice che la pace è un’utopia l’ha ucciso, perché, se fosse vero, non avrebbero paura di uno che la pace la rende reale giorno per giorno come lui».
L’incontro ha assunto quindi un tono diverso da quello che si era pensato di dargli in origine, ma le risate non sono comunque mancate. Gatti avverte: «Questo incontro sarà “B. free”, non nel senso di sciolto, ma nel senso che quel cognome qui dentro non si deve pronunciare. Chi lo fa, offre la cena a tutti».
Il nome del Presidente del consiglio non è stato dunque pronunciato. Ma non perché non si sia parlato di lui. «Usiamo i soprannomi – continua il giornalista dell’Espresso – per esempio ho scoperto, mentre lavoravo in Grecia, che lì lo chiamano Erotilla».
Cominciano le prime risate e anche l’intervista. Gatti indossa i panni di un extraterrestre venuto da Giove, Gioviale dunque, che incontra Vauro-Farabutto. «Che lavoro fai?», gli chiede. «Sono un tuo collega più sfortunato, perché privo di astronave per togliermi dai coglioni. Faccio il lavoro di allibire, stupirmi e incazzarmi».
Farabutto viene da B.andia, «un paese dove il potere non somiglia, per fortuna, quasi per nulla alla gente che lo abita: non troverai guardandoti in giro tutti vecchi erotomani, stai tranquillo. È il paese delle persone di Lampedusa, non di chi va a Lampedusa a comprare la villa».
Il libro contiene scritti satirici e vignette come questa: “Il processo di imbalsamazione. L’unico al quale aveva acconsentito di sottoporsi”. «La vignetta nasce da sé, come una scoreggetta», risponde il disegnatore toscano alla domanda di Gioviale su come gli vengano certe pensate. «È un’idea che in quanto tale è condivisione – altrimenti sarebbe una mania – e il mio strumento per condividerla è il pennarello».
«La satira però – chiede l’extraterrestre Gatti – non è un po’ celebrazione del potere, visto che ogni potente ha un giullare?». Non è d’accordo Farabutto: «Di giullari nel nostro paese ce ne sono tanti, come Minzolini, ma il giullare è pagato per far ridere il potente e la comicità è una cosa diversa dalla satira. Il nostro è un paese malato di comicità, quella che non ci fa indignare per cose che ci dovrebbero far incazzare molto. L’innominato ne è infatti fonte inesauribile. Noi ridiamo e rischiamo di assuefarci a questa Disney dell’orrore. La satira, invece, della comicità se ne sbatte i coglioni. Si prende una libertà che spesso è arrogante e prepotente».
Prima di lasciare spazio alle domande del pubblico, Gatti legge otto dichiarazioni riportate nel libro molto simili tra loro. Alcune sono del presidente B., altre del terrorista Cesare Battisti. «Uno è latitante, l’altro speriamo lo diventi presto», commenta il vignettista.
Gli interventi dalla sala arrivano numerosi, soprattutto da giovani desiderosi di avere ricette e soluzioni per ritrovarsi in un paese migliore. «Dobbiamo scappare in un altro pianeta o restare?» è la prima domanda per il giornalista venuto da Giove. «Scappare mai», risponde, e citando il motto di Arrigoni continua: «La regola è “restare umani”, informarsi, far sentire la propria voce e pretendere i propri diritti, come quello di poter scegliere chi vogliamo che ci rappresenti».
«Nel paese che possiamo definire con le parole attualissime di Pasolini, quello del “fascismo spensierato, dove alle camicie nere si sono sostituite le paillettes”, dove il pensiero è nemico, dobbiamo cominciare a coltivare la pratica del diritto, perché siamo vittime di una forte intossicazione da rincoglionimento che ci fa stare fuori dalla realtà e dentro un sistema di corruzione che ci toglie la possibilità di allargare gli orizzonti», aggiunge Vauro.
Resistere, indignarsi e soprattutto ribellarsi, sono le soluzioni date da Gioviale e Farabutto. «Dobbiamo ricominciare da capo per ricostruire le basi della democrazia, altrimenti credo saremo noi a andare a Lampedusa per prendere i barconi e sbarcare in Tunisia», dice Gatti.
Qualcuno chiede se tutto questo parlare di B., anche se non lo si nomina, non sia controproducente, ma Vauro è sicuro: «Il problema è che non ne abbiamo ancora parlato abbastanza. E poi, c’è un modo per non parlare più di lui: cacciarlo».