Un Flauto che divide

Alla fine della proiezione in anteprima del “Flauto magico” del regista Kenneth Branagh la sala del Teatro Massimo ha reagito in maniera contrastata. Alcune persone hanno entusiasticamente applaudito, mentre numerosi erano coloro i quali hanno espresso molte perplessità sul film.
Step1 ha sentito l’opinione di alcuni studenti universitari che hanno visto il film e anche tra di loro le opinioni sono discordanti.

Se a qualcuno l’intero film non è piaciuto, dall’ouverture alla fine, senza dare nemmeno una spiegazione per tale stroncatura, qualcun altro è riuscito ad argomentare le proprie critiche. È il caso di Carmelo, che ci spiega come secondo lui sia «folle tradurre un libretto, per poi vederlo inoltre con i sottotitoli in italiano. È anche assurdo trasporre un’opera per intero al cinema. Infine la proiezione del film in un teatro ha sicuramente ostacolato l’acustica». Unica nota positiva «l’ouverture con le scene di guerra. Da dieci e lode».

Nemmeno Edna ha gradito la pellicola e afferma che «la traduzione in inglese dell’opera è stata una scelta deludente». Poi continua «due ore e mezza sono eccessive per un film di questo tipo. Branagh di certo è stato coraggioso a portare avanti questo progetto, ma non mi è piaciuto per niente, l’ho trovato noioso».
Beatrice ci confessa di aver avuto qualche perplessità sulla riuscita dell’adattamento cinematografico di un’opera lirica «e con questa visione ne ho avuto la conferma. Suggestiva e bella la scelta di proiettare il film dentro un teatro e di avvicinare i giovani al difficile genere della lirica in maniera più diretta, ma non ho gradito il torcicollo a seguito dell’intera serata passata seduta di sbieco né l’acustica».

Tra i detrattori c’è però anche qualcuno che ha apprezzato la pellicola. È il caso di Agata, che afferma: «a me è piaciuta. Forse è troppo lunga e magari le infermiere e i bambini (ossia le tre dame e i tre genietti dell’opera originale, nda) possono risultare un tantino fastidiosi, ma proprio in questi tratti si coglie tutto l’entusiasmo di Branagh. La sua regia è poetica e “sognante”, molte scene sono surreali e rendono bene la magia, tratto essenziale dell’opera. Sulle musiche meravigliose, ovviamente, non c’è nulla da aggiungere». Per quanto riguarda la scelta di tradurre i testi «a primo impatto può suscitare qualche perplessità, ma tutto svanisce davanti alla bellissima e perfetta traduzione di Stephen Fry».
Anche Maria è entusiasta della trasposizione del regista inglese. «Mi sono piaciute molto le interpretazioni di Papageno e della Regina della Notte, un po’ meno quella di Pamina». A chi ha condannato l’eccessiva lunghezza del film, risponde che «è normale che duri più di due ore, in fondo si tratta sempre della trasposizione di un’opera complessa. Forse si potevano tagliare alcune scene non essenziali, ma sarebbe venuta meno la fedeltà al libretto».

Insomma, anche tra il pubblico studentesco si è riproposto l’antico tema della traduzione dell’opera e della fedeltà ai grandi classici. Probabilmente il merito più grande di Branagh è stato proprio quello di rispolverare questo eterno dibattito.


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