Angelo Monteleone si è aggiudicato il riconoscimento della Fondazione Archiprix di Rotterdam. Il progetto prevede di riqualificare il sito di Grottacalada, coniugare lavoro e detenzione creando reddito, e dire no all'ergastolo bianco. «Come l'istruzione, è fondamentale per la riabilitazione». Guarda le foto
Un carcere attenuato nell’ex miniera di zolfo Architetto siciliano vince premio internazionale
Una vecchia miniera di zolfo trasformata in carcere attenuato. Con questo progetto un giovane studente siciliano vince il prestigioso Premio internazionale di architettura della Fondazione Archiprix International di Rotterdam rivolto ai giovani architetti. Angelo Monteleone, niscemese di 27 anni, si è aggiudicato il primo premio della sezione architettura con un progetto di un istituto a custodia attenuata nell’antica miniera di Grottacalda, frazione di Piazza Armerina, intitolato Il verde oltre le sbarre.
«I cittadini, e anche io prima di intraprendere questo percorso, non hanno idea di cosa si nasconda dietro alle spese per le carceri o come gli istituti vengano realmente gestiti – spiega il neolaureato – Non sanno che spesso dietro le sbarre ci sono famiglie, persone, coscienze, gente che pur avendo sbagliato ha ancora voglia di ricominciare». Una tesi di laurea complessa, per la cui realizzazione sono serviti circa 18 mesi, in cui è stato necessario approfondire gli aspetti non solo tecnici ma anche giuridici, sociali e agricoli della struttura. Il progetto prevede infatti la riqualificazione dell’area dell’industria dello zolfo e degli impianti di Grottacalda, dove insiste una miniera di zolfo dismessa nei primi anni della seconda metà del secolo scorso e un villaggio che ospitava gli operai.
Dopo i rilievi alle strutture, Angelo ha deciso, grazie al supporto del professore Vincenzo Sapienza, relatore della tesi, di provare a riqualificare l’area trasformandola in un istituto a custodia attenuata, un sistema ibrido tra le colonie penali agricole e le case di reclusione all’aperto seguendo l’esempio di alcuni Paesi europei. Ma non si è trattato di un mero esercizio stilistico. L’istituto penitenziario pensato da Angelo riesce a coniugare la riabilitazione alla detenzione: 55 ettari dell’area destinati alla coltivazione di orzo distico, mandorle, zafferano e olive da trasformare, in locali appositamente predisposti, in birra artigianale, mandorle confezionate, zafferano in stimmi e olio extravergine di oliva. Un’idea supportata da un duro lavoro di studio sulla fattibilità dell’opera.
Angelo ha dovuto approfondire le proprietà chimico-fisiche del suolo per la scelta delle coltivazioni, creando un business plan per dimostrare che è possibile coniugare lavoro e detenzione creando reddito. «Far lavorare i detenuti conviene non solo al condannato ma anche allo Stato, il moderno pensiero criminale crede nel lavoro come elemento riabilitativo per il condannato – sottolinea l’architetto –. Il soggetto rinchiuso in sezioni riservate alle misure si sicurezza diventa vittima del cosiddetto ergastolo bianco. La mia proposta è di chiudere queste sezioni e dare seguito all’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario che prevede il lavoro, non afflittivo e remunerato, come componente fondamentale della riabilitazione insieme all’istruzione».
Il progetto, già selezionato tra i finalisti del premio Lifebility, è stato premiato a Genova lo scorso 4 dicembre da una giuria qualificata composta da Domenico Podestà, membro del consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti, dalla giornalista Donatella Bollani, vicedirettore della rivista di architettura Domus e da Maurizio Galletti, dirigente generale del Ministeri dei beni e delle attività culturali.