Un bambinello nero donato da una famiglia migrante «È ora di prendere coscienza dei tanti Erode di oggi»

«Possiamo essere, proprio noi, proprio da oggi, l’inizio di una nuova speranza col nostro impegno e soprattutto con la nostra concretezza». Sono parole cariche di ottimismo e di fiducia quelle usate questo pomeriggio da monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma, cappellano di papa Francesco e presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale per le Migrazioni della Cei. Le ha pronunciate sul Lungomare dei migranti, alla Cala, circondato dalle autorità locali, dall aprefetta De Miro al sindaco Orlando, e dai tanti cittadini che hanno sfidato le basse temperature di oggi e la pioggia per dare il benvenuto al Bambinello nero. Un dono, questo, di una famiglia di migranti dello Sri Lanka, che verrà posizionato a fine processione nella barca del Presepe dei migranti, allestito nella chiesa di sant’Ignazio martire all’Olivella. Ma solo dopo essere passato anche dal porto, primo luogo dell’accoglienza palermitana, dove ad attendere la statua ci sono le tradizionali danze della comunità Tamil e i canti del coro delle voci bianche e arcobaleno del teatro Massimo.

«Siamo tutti figli di Dio e vogliamo costruire un mondo di eguaglianza, un mondo in cui ci sia veramente posto per tutti – continua il vescovo -. Oggi si fugge per molte ragioni, ci sono quelle della guerra, ma anche quelle della fame e della siccità. L’arrivo in un altro posto, però, deve rappresentare un nuovo inizio, deve portare all’integrazione. Le varie culture e realtà del mondo non sono che tanti modi di rappresentare la stessa cosa: una famiglia unita». E un dono come questo non poteva che trovare come sua destinazione ideale una città come Palermo, «un luogo che spesso rappresenta il primo approdo per molte persone, un luogo quindi di grande speranza, quello che per primo viene avvistato da lontano, ancora in mare». Un gesto simbolico dal quale partire, secondo monsignor Guerino Di Tora, per imprimere un cambiamento profondo all’Europa in primis e, poi, al mondo intero.

«Assistiamo ancora oggi a scene drammatiche», commenta ancora. E la mente corre veloce all’immagine di un altro bambino, figlio del nostro tempo e divenuto tristemente noto. Aylan Kyrdi è il suo nome, ed è il bambino addormentato tra le onde e la sabbia con la sua magliettina rossa e i minuscoli pantaloncini blu. La sua foto, nella sua durezza, ha fatto il giro del mondo ed è stata la prima a metterci di fronte, seppur per poco, alla portata drammatica e tragica dei viaggi affrontati dai migranti. «Ci sono scene che ricordano Gesù bambino e le sue sofferenze. In fondo – continua il vescovo – anche il Signore è stato un migrante che ha dovuto lasciare la propria terra, la Palestina, per andare in Egitto, perché c’era un Erode che lo perseguitava e voleva ucciderlo. Purtroppo oggi ci sono tanti Erode in forme diverse, dallo schiavismo allo sfruttamento, dimensioni che devono farci prendere coscienza della situazione e che devono farci reagire. Creiamo un mondo diverso, che vada al di là del colore della pelle, delle culture, dove tutti possano sentirsi accolti».

Un mondo diverso che nasce dal mare, per arrivare infine a quella terraferma tanto agognata da chi non cerca che un nuovo inizio. «Stanno rinascendo tante forme di nazionalismo e di individualismo, di chiusura e quindi anche di nazioni che tra un po’ di anni si ritroveranno senza le nuove generazioni, con enormi difficoltà», si rammarica infine il vescovo. Concluso il discorso, però, è l’ora di accogliere il Bambinello nero, accompagnato dal suono dei tamburi, con un colpo simbolicamente eseguito sulle percussioni da ognuno dei rappresentanti delle istituzioni presenti. 


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