La notizia della morte di Ubaldo Ferrini ha aperto nella mia mente una caterva di finestrelle come pop-up. Finestrelle alle quali non saprei neanche dare un ordine preciso. Ricordi forse anche sbagliati (chiedo ai lettori di correggermi ove sbagliassi), ma di una cosa sono certo: questi pop-up sono uniti da un filo conduttore a cavallo […]
Ubaldo Ferrini e i pezzi di un puzzle indimenticabile
La notizia della morte di Ubaldo Ferrini ha aperto nella mia mente una caterva di finestrelle come pop-up. Finestrelle alle quali non saprei neanche dare un ordine preciso. Ricordi forse anche sbagliati (chiedo ai lettori di correggermi ove sbagliassi), ma di una cosa sono certo: questi pop-up sono uniti da un filo conduttore a cavallo degli anni ‘80 e ‘90, quando insieme a una certa musica, che all’epoca, addirittura, definivamo underground (definireste, oggi, underground Violent Femes e Cure?) arrivarono le prime birre estere: prima, a Catania, c’era solo la Messina e la Peroni. E la colonna sonora di quell’epoca era Radio Delfino, che Ubaldo ereditò dal padre, e che, mi pare, all’epoca fosse ubicata a San Giovanni La Punta. Ma comunque: le birre estere (parliamo degli anni ‘80) erano la Leffe nella bottiglia bianca e le Chimay, tappo rosso e tappo blu. Arrivavamo in motorino 50cc allo Sticky Finger a San Gregorio – dove si suonava, incredibile, rock dal vivo – oppure da Paperino, a San Giovanni Li Cuti, dove ti facevano anche il cocco ripieno di tequila e poi andavi a berlo e a svenire sui frangiflutti alla fine del lungomare o nel complesso Le Casette. Ma comunque Radio Delfino e Ubaldo Ferrini spargevano per l’aria quella musica.
C’era Sergio Gualtieri con la sua Golf, c’era Franz Mannino con la sua Seat, c’erano i Paternò con la loro vena artistica. C’era la comitiva della prima traversa. C’erano i compagnetti che ancora sono in chat. Poi, non so perché, ho un salto temporale (credo mi fossi trasferito a Roma per qualche anno), ma al ritorno Radio Luna era in una traversa che univa via Passo Gravina a via Etnea, e io che iniziavo a scrivere di libri, e c’era il cyberpunk e le notti al neon e al rock e mi chiamò Dario Amantia, che ancora si chiamava così, per fare una trasmissione notturna con Massimiliano Sapienza. Non mi ricordo neanche se Radio Delfino fosse ancora di Ubaldo, ma il marchio era quello e quel marchio aveva accompagnato le mie scorribande con il Sì Piaggio, poi la vespa Pk, poi con l’honda nsr (le prime furono la mia, quella di Vincenzo Rosolia e quella di Massimo Di Raimondo), così dissi sì e la trasmissione si chiamava Mediterraneo Metropolitano, e Dario Amantia metteva le musiche degli anni Settanta, e io deliravo di città notturne e asfalto bagnato, di William Gibson e di John Shirley (che poi sceneggiò Il Corvo), ma anche di Raymonf Chandler e ovvio, di Bukowsky, e così dissi a Dario che doveva farsi chiamare Chinasky e non so perché lui tolse l’acca, ma da quella notte Dario diventò Cinasky per tutti (Dario: smentisci se puoi), e in quel palinsesto – forse c’entrava qualcosa Diego Vespa, all’inizio dell’avventura coi Mercati Generali – c’era anche Massimo Napoli, credo, e insomma, come si dice oggi c’era qualcosa di seminale che poi germogliò, in campo musicale, Retro-It e Nero Espresso.
Ah sì, c’era anche il Divina, il venerdì e il mercoledì, c’era Marco Vinci, c’erano anche i due fratelli dark, al Divina, con la serata Dark, e non mi ricordo il nome, ma i lettori sicuramente sì, mi pare fosse il giovedì: boh. Ma nell’aria e nella radio c’era Radio Delfino. E mi si aprono ancora finestre nella mente, come in un Windows impazzito, tipo camperos, tipo el charro, tipo chiodo o avirex. Sono pezzi di un puzzle che la Catania che ha vissuto quei tempi non faticherà a completare. Ciao Ubaldo. E che cazzo!