Turismo sull’Etna, battaglia di dati sui visitatori «Ma nessuno tiene conto del lavoro sommerso»

Bisogna fare attenzione ai dati, per di più in un dibattito che spesso non conosce mezze misure. È quello sul turismo in Sicilia, e sull’Etna in particolare, che fa registrare una continua contrapposizione di numeri. Gli ultimi sono quelli del portale TripAdvisor, che piazzano il vulcano etneo al primo posto delle preferenze degli italiani. A fare loro da contraltare sono i report, ricorrenti come i ciclici boom di presenze, che raccontano situazioni da crisi nera e cali generalizzati in tutte le voci: arrivi, pernottamenti e spese. Le fonti sono le più disparate: da quelle istituzionali come Banca d’Italia o la Regione, alle associazioni di settore come Federalberghi, fino alle classifiche su apprezzamenti, prenotazioni e presenze stilate dai network specializzati. Ecco le istruzioni degli esperti per meglio orientarsi nel mare di cifre e tabelle.

A spiegare che il quadro complessivo sia da maneggiare con cura è Caterina Cirelli, ordinaria di Geografia politico-economica al dipartimento di Economia dell’università di Catania. «Sul turismo in Sicilia, e soprattutto sull’Etna, c’è un problema di lettura e analisi dei numeri – dice a MeridioNews – Il più delle volte perché si utilizzano fonti e rilevamenti senza fare le dovute distinzioni». Come quella basilare fra semplici gitanti e turisti veri e propri. Mentre, inoltre, si tende a fare confusione fra il dato sulle presenze – derivante dal numero di giorni trascorsi in Sicilia in pernottamenti – e il numero ben più ampio degli arrivi registrati sull’Isola tramite vari mezzi. «Ma c’è un limite ancora più grande, peraltro periodicamente evidenziato da vari attori del settore – continua la docente – Mi riferisco all’incidenza del sommersonon è sufficiente basarsi solo sulle rilevazioni sulle camere occupate negli alberghi».

In effetti, sembra proprio che nessuno abbia ancora una concreta cognizione del fenomeno di attività a carattere ricettivo di piccoli operatori, semplici privati che affittano camerecase vacanze a conduzione familiare. Un modello d’ospitalità sempre più apprezzato perché a misura d’uomo e sempre più diffuso sull’Etna, così come fra Siracusano e Ragusano. Ma anche nel resto delle mete più gettonate e con una storia turistica più lunga: da Taormina a Cefalù fino a Isole minori e Trapanese. Talvolta, però, fatto anche di realtà con più di un piede nell’ambito dell’abusivismo. Proprio Federalberghi, poche settimane fa, aveva lanciato l’ennesimo appello: «Occore definire un quadro normativo che contrasti efficacemente la corsa indisturbata del sommerso nel turismo».

C’è anche però chi ribalta la questione, come Marco Platania, che insegna Economia del turismo sempre all’università etnea, al dipartimento di Scienze della formazione. «La querelle sui numeri più o meno in crescita non serve a nulla, è un falso problema – sostiene il docente – La loro affidabilità è inficiata dal sommerso. Anche per questo mi fiderei poco delle classifiche dei siti online». Sono altri i reali interrogativi sul turismo in Sicilia e sull’Etna: «L’eventuale boom di turisti non cancellerebbe i problemi di fondo: non siamo ancora una destinazione turistica, ma soltanto un bel posto da vedere». Un irrobustimento del turismo esiste, anche fra Catania e il vulcano, ma davanti a questo «non basta parlare di brand – ragiona Platania – vanno bensì fatte scelte strategiche sui servizi, sulla qualità del tempo trascorso in Sicilia e sulla necessità di fermare la spesa dei turisti nel nostro territorio».


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Il portale TripAdvisor piazza il vulcano al primo posto delle mete preferite dagli italiani. Ma di report sull'affluenza ne vengono pubblicati di continuo. «C'è un problema di analisi dei numeri», dice la docente Caterina Cirelli. E il collega Marco Platania aggiunge: «Non siamo una destinazione, siamo solo un bel posto da vedere»

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