In Italia si registrano mille nuove diagnosi di tumore al giorno. I decessi nel 2015 sono stati 175mila, cioè il 30 per cento del totale. Numeri che rendono il cancro la seconda causa di morte nel paese. Mentre i pazienti in cura nell’ultimo anno sono stati tre milioni. Basterebbero questi pochi dati a rendere urgente la lettura dell’ottavo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, pubblicato dalla Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo). E anche sulla condizione dei malati di cancro bisogna dar retta a Sciascia e «andare in Sicilia per constatare quanto incredibile è l’Italia».
Si apprende così che nel 2015 «la Regione che ha aumentato in tutte le patologie le proprie liste di attesa è la Sicilia». L’isola ha quattro centri per 5 milioni di abitanti a fronte della Lombardia che ne ha 25 per dieci milioni. E se è vero che i dati Inps non mettono la Sicilia ai primi posti per quel che riguarda l’insorgenza di neoplasie, sono altrettanto riscontrabili le carenze del monitoraggio siculo. Come ricorda il rapporto Favo, «la principale fonte di conoscenza sull’epidemiologia delle patologie neoplastiche nel nostro Paese è costituita dai registri tumori. È altresì noto che la copertura garantita da questo sistema, sebbene in crescita costante, è ancora incompleta e penalizza soprattutto alcune aree geografi che del centro-sud». In province come Enna il registro neanche esiste, e in tutte le altre i dati sono vecchi ed incompleti.
È il caso ad esempio del triangolo industriale sorto nel dopoguerra, cioè Gela, Milazzo, Augusta-Priolo-Siracusa. Qui i registi provinciali sono accorpati: Caltanissetta con Ragusa, Catania con Messina, mentre a Siracusa i dati in elaborazione si fermano al 2009. Alle ben note patologie da industrializzazione devono poi associarsi i rischi dovuti all’esposizione d’amianto, ancora molto presente nella nostra isola. Lo accerta, d’altra parte, il rapporto I numeri del cancro in Italia 2015. I medici e i ricercatori oncologici scrivono che «la lunga latenza delle malattie indotte dall’amianto, la scoperta di nuove sorgenti di esposizione occupazionali e ambientali, inducono a ritenere che in termini di sanità pubblica le conseguenze del massiccio utilizzo del materiale nel nostro Paese in passato non possano considerarsi esaurite». Un quadro allarmante, anche se in ogni caso in lieve miglioramento rispetto agli anni passati.
È per questo che gli studiosi Favo insistono sulla cura a 360 gradi dei malati oncologici. La Sicilia ha carenze che sta cercando faticosamente di colmare. Con risultati alterni. Ad esempio nel numero di prestazioni di chemioterapia: il sistema sanitario regionale nel 2014 ne ha erogate 6.159 che, in proporzione al numero di abitanti, rendono l’Isola la penultima regione in Italia dopo la Campania. In generale in tutti gli ambiti dell’attività assistenziale oncologica, la Sicilia è sotto la media italiana, mentre i dati migliori si riscontrano nelle dotazioni strutturali e tecnologiche. «Le liste di attesa vanno lette insieme ai dati relativi al tasso di ospedalizzazione che in Sicilia è crollato ed è nettamente inferiore al resto di Italia – commenta la dottoressa Paola Varese -. È vero che al Sud l’incidenza dei tumori oggi è inferiore rispetto al Nord, mentre la mortalità è sempre stata maggiore ma tende comunque a migliorare».
Le differenze tra Nord e Sud a livello assistenziale si riscontrano in ciascuna singola tipologia di cancro. Per tutti vale l’esempio del tumore al seno, che colpisce una donna su dieci nell’arco della vita e rappresenta il 29 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne. In Italia, nel corso del 2014, sono stati diagnosticati circa 48mila nuovi casi di tumore maligno. La diagnosi precoce rappresenta un’arma fondamentale nella lotta contro questo tumore, perché permette di aumentare notevolmente le probabilità di guarigione delle pazienti. «Purtroppo i programmi di screening mammografico, che costituiscono il maggiore strumento di prevenzione – si apprende nel rapporto Favo – non sono distribuiti uniformemente sul territorio nazionale, con differenze sostanziali tra regione e regione e in particolare tra Nord e Sud». Negli scorsi mesi la città di Gela, ad esempio, si è mobilitata per ottenere il servizio della Breast Unit (unità complessa di senologia), prevista da un atto aziendale dell’Asp a gennaio 2016 e tuttora non istituita.
Più in in generale la crisi è riconducibile ai tagli del welfare degli ultimi anni. «Nel periodo 2000-2014 sono stati cancellati quasi 72mila posti letto, senza una reale ridefinizione e diversificazione della offerta sanitaria – ricordano gli studiosi Favo -. Ormai l’Italia si colloca al quinto posto in Europa, dietro Germania, Austria, Francia e Svizzera per disponibilità di posti letto/abitanti e questo costringe spesso i cittadini a utilizzare i propri risparmi per ricorrere alla sanità privata». A quanto esposto si aggiungono le altre carenze comuni al pubblico impiego tout court: dalla scarsa trasparenza al blocco del turnover, fino all’assenza di approcci multidisciplinari.
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