Trivelle e Monterosso, Ars vota senza dibattito L’insolito mutismo di Crocetta ipnotizza i suoi

Alla fine non si sono riempiti neanche i banchi, semivuoti, della sala stampa. Non c’è stato il tempo. Una giornata atipica ed irregolare, quella dell’Ars di ieri. Si annunciava scoppiettante, vibratile, esasperata dal confronto e dalle barricate su cui erano pronti a salire i grillini per discutere la mozione di censura nei confronti della Segretaria generale della Regione siciliana Patrizia Monterosso. Si è rivelata alla fine soporifera e stemperata dall’uno contro uno tra Antonello Cracolici e Giorgio Ciaccio, capigruppo Pd e M5s, prima che il voto dell’aula sancisse l’inammissibilità della discussione della mozione di censura. 

Alla fine lo stesso governatore siciliano, solitamente scoppiettante, un vulcano in eruzione, sembrava tessere l’elogio del mutismo. Guardava dai banchi del governo i parlamentari della maggioranza, distrattamente senza apparenti secondi fini. Li ha quasi ipnotizzati, al punto che sull’esito del voto non ci sono stati dubbi, neanche per un minuto. Un’Ars che sorprende per il suo silenzio. O per il poco rumore. Disabituata al confronto e scoraggiata dal fare più leggi di quelle che non le impugnino, l’Aula ieri ha vissuto sullo scontro tra il capogruppo dell’Udc Girolamo Turano ed il presidente pro tempore Antonio Venturino: «Se vuole le faccio avere la copia più recente del regolamento», la bacchettata di Venturino. Il rumore dei nemici è rimasto lontano. 

La buvette, recentemente rifatta, accoglie i deputati. Tra i più imbronciati e perplessi, l’ex sindaco di Ragusa Nello Dipasquale: «Non sono interessato a fare l’assessore alle Attività produttive, state tranquilli», poi scherza ancora qualche minuto prima di andare via. C’è da riconquistare un feudo elettorale oggi in mano al M5s a Ragusa. Anche per lui, forse uno dei delusi silenziosi della rivoluzione normalizzata di Crocetta. Circolava ieri un clima quasi surreale, tra referendum sulle trivelle bocciati, il presidente Ardizzone assente, l’assestamento di Bilancio da incardinare. Tutto si svolge in poco tempo, come se la testa fosse da un’altra parte. Non un parlamento svogliato e distratto, ma un’Aula che cerca la velocità nel giorno in cui serviva sminuzzare i discorsi. Che sceglie il voto, azzerando il dibattito. Che trova l’accordo senza esitazione, quando la mediazione avrebbe offerto spunti più ragionevoli, specie sui referendum affossati. Chissà se la nuova frontiera low profile verrà mantenuta anche per la prossima Finanziaria, per i rimpasti di governo e l’esecutivo da varare. Per i testi di legge impugnati che dovranno tornare in aula per gli esami di riparazione. Se la cronaca dunque langue, la controcronaca a riprova dell’incantesimo di ieri, replica con discrezione. 

Solo Vincenzo Vinciullo (Ncd), presidente pro tempore della commissione Bilancio, autore in aula di un intervento lontano nei toni da quelli del passato, sorprende a sorridere l’ex, ormai, alleato di una volta, Marco Falcone, capogruppo di Forza Italia. E prima di annunciare querela nei confronti di Ciaccio (M5s) – che si dimette da segretario della commissione Bilancio, in polemica con lo stesso Vinciullo – si rivolge a Falcone: «Non c’è niente da ridere collega Falcone, in un momento così drammatico». Come dargli torto?


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