Trenta mila persone alla fame e l’Ars perde tempo con città metropolitane e finti consorzi di Comuni!

MENTRE SALA D’ERCOLE DISCUTE DI UNA LEGGE CHE VERRA’ IMPUGNATA, INTERI SETTORI DELL’AMMINISTRAZIONE REGIONALE SONO SENZA RISORSE FINANZIARIE.. MENTRE CIRCA 70 COMUNI POTREBBERO RIMANERE A SECCO. IL DUBBIO E’ CHE IL GOVERNO CROCETTA STIA SOLO PRENDENDO TEMPO PERCHE’ NON SA COME AFFRONTARE I PROBLEMI VERI DELLA NOSTRA ISOLA

Le emergenze della Sicilia – ha detto qualche giorno fa al nostro giornale il segretario uscente del PD (e ricandidato alla guida di questo Partito in Sicilia), Giuseppe Lupo – sono due: interi settori dell’Amministrazione regionale rimasti senza risorse finanziarie e oltre settanta Comuni tra Palermo e Siracusa che rischiano di restare senz’acqua. Eppure, di fronte a questioni drammatiche, assistiamo a un Parlamento siciliano che si attarda su una riforma che, se venisse approvata, verrà dichiarata incostituzionale.

Non è facile capire perché sta avvenendo tutto questo. Con molta probabilità, il Governo di Rosario Crocetta, non sapendo dove cominciare per mettere a punto una manovra finanziaria bis, sta solo prendendo tempo: tra dibattito, approvazione (ammesso che venga approvata) di questa strana legge sulla soppressione delle Province (con annesse nascite di improbabili città metropolitane e ‘liberi’ Consorzi di Comuni) ed eventuale pubblicazione di tale legge voleranno via altri 15-20 giorni e il governatore avrà la scusa di non essersi occupato degli oltre trentamila soggetti rimasti senza soldi perché l’Ars “è stata impegnata”.

Nel frattempo saremo arrivati a fine febbraio e chi da gennaio non ha avuto soldi per campare – questo supponiamo il ragionamento del Governo regionale – si sarà abituato al ‘pane e olive’. Insomma, i siciliani si devono abituare, piano piano, senza fretta, a non avere più teatri lirici e di prosa, a fare a meno dei Parchi e delle Riserve naturali, a non avere l’Arpa per i controlli ambientali, a fare a meno del servizio antincendio boschivo e via continuando.

In fondo è quello che chiede Roma: cari siciliani, fallite in silenzio, fate la fame, ma – per cortesia – non parliamo di dichiarazione di dissesto, perché se dichiariamo ufficialmente quello che è già nelle cose – e cioè il dissesto finanziario della Regione siciliana – le società di rating ci massacreranno. E l’Italia non se lo può permettere. Dunque, cari siciliani, fallite in silenzio.

Così, per altri quindici giorni – mentre la fame cresce e mentre la sete potrebbe iniziare a diffondersi tra 52 Comuni del Palermitano e in quindici, forse 20 Comuni della provincia di Siracusa – noi continueremo a baloccarci sulla soppressione delle Province (già lasciate senza soldi dal Governo Crocetta), sull’istituzione quasi comica di tre città metropolitane (riuscite a immaginare Messina metropoli?) e sull’istituzione di ‘liberi’ Consorzi di Comuni che liberi non saranno affatto, visto che gli vorrebbero anche negare la libertà di scegliere come consorziarsi.

La Cisl siciliana dice che quello in discussione a Sala d’Ercole non è una riforma delle Province, ma un papocchio. Come dargli torto? Nata per risparmiare sopprimendo gli enti pubblici che, alla fine, costano meno, la soppressione delle Province rischia di creare un caos istituzionale.

Forse, se c’è un articolo dello Statuto siciliano che non andrebbe tirato in ballo in questa fase storica della vita del nostro Paese è proprio l’articolo 15. Pensato, dai Padri dell’Autonomia, per liberare la Sicilia dalle Province – che ricordavano tanto le repressioni post-unificazione – e, soprattutto, per eliminare i ‘Prefetti di Giolitti’.

Detto questo, con i problemi che ci sono oggi in Italia, non ci sembra questo il momento per istituire i liberi Consorzi di Comuni. In primo luogo, perché un passaggio così complesso andrebbe concordato con lo Stato. Perché oggi, piaccia o no, lo Stato italiano, sotto il profilo amministrativo, si articola anche su basi provinciali: si pensi agli uffici del Tesoro o ai rilevamenti Istat.

Il problema si pose nel 1986, quando l’Ars approvò la legge n. 9 che istituì, tra le altre cose, le “Nuove Province regionali”. I cui confini non vennero toccati proprio perché ciò avrebbe comportato un cambiamento che avrebbe dovuto coinvolgere lo Stato.

Istituire, oggi, liberi Consorzi di Comuni, secondo il dettato dell’articolo 15 dello Statuto, senza il concerto con lo Stato, significherebbe creare enormi problemi a Roma, che dovrebbe rivedere tutti gli uffici pubblici che si articolano nelle sedi provinciali. E significherebbe anche impegnare l’Istat in un sistema diverso di rilevazioni. Per non parlare del passaggio più importante: l’abolizione delle Prefetture.

D’altra parte, che senso avrebbe istituire i liberi Consorzi di Comuni ignorando ‘articolo 15 dello Statuto siciliano? Proprio il nostro giornale non può certo essere accusato di scarsa attenzione verso i temi dell’Autonomia siciliana. Ma non possiamo nascondere che una diversa articolazione, nella nostra Isola, delle strutture intermedie tra Regione e Comuni non può che nascere con il concerto dello Stato: concerto che lo Statuto non nega, ma auspica.

Questo perché gli eventuali consorzi di Comuni con confini diversi dalle attuale Province, senza un accordo preventivo con lo Stato, provocherebbero una grande confusione amministrativa e predisporrebbero tale riforma a un’impugnativa che non suonerebbe come un’offesa all’Autonomia, ma sarebbe la diretta conseguenza di un modo confuso di legiferare. Per non parlare di tutti gli aspetti legati alla rappresentanza, cioè all’elezione dei vertici degli stessi Consorzi di Comuni.

Anche le città metropolitane, in questo delicato momento, non ci sembrano una grande intuizione politica e amministrativa. Le città metropolitane sono state immaginate dal legislatore nazionale per fornire servizi aggiuntivi alle popolazione e non per sostituire servizi che, in alcuni casi – almeno per come si sta configurando questa ‘riforma’ in Sicilia – verrebbero soppressi!

Pensare che oltre 50 Comuni che si trovano attorno a Palermo, a Catania e a Messina debbano sparire per salvare i bilanci dei Comuni di Palermo, Catania e Messina è una follia. Questa non sarebbe l’istituzione delle tre città metropolitane, ma una tripla truffa metropolitana.

In conclusione, hanno ragione i vertici della Cisl: questa riforma va fermata. Tutta. Non c’è nulla di male a dire: ragazzi, abbiamo sbagliato. Troviamo una soluzione temporanea per le Province – soprattutto per pagare il personale – e occupiamoci di cose serie.

Intendendo, per cose serie, non il mutuo ‘ascaro’ da un miliardo di euro a carico dei siciliani sponsorizzato dall’assessore all’Economia, Luca Bianchi. Alla Sicilia, in questo momento, non servono nuovi debiti: servono risorse non per pagare le imprese del Nord Italia, ma per finanziare i settori dell’Amministrazione regionale rimasti a secco ed evitare che circa 70 Comuni rimangano senz’acqua.


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