La direzione distrettuale antimafia di Palermo ha chiesto ottenuto il provvedimento straordinario. Secondo gli inquirenti la famiglia Coppola, vicina a Messina Denaro, avrebbe interferito nella gestione della banca di credito cooperativo. Un indiziato di mafia avrebbe ottenuto una inspiegabile riduzione del mutuo
Trapani, prima banca in amministrazione giudiziaria «Soggetti vicini a Cosa nostra nell’istituto di Paceco»
La banca di credito cooperativo di Paceco a disposizione della famiglia Coppola, legata a Cosa Nostra trapanese, in particolare ai boss Vincenzo Virga e Matteo Messina Denaro. È questa l’ipotesi della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Trapani che l’istituto di credito trapanese venga messo in amministrazione giudiziaria per sei mesi. Il primo caso in Italia per una banca.
Sottoposta a ispezioni della Banca d’Italia nel 2010 e nel 2013, la banca avrebbe ignorato o rispettato solo formalmente le raccomandazioni di via Nazionale. In particolare sarebbero stati ignorati gli obblighi della normativa antiriciclaggio e le raccomandazioni, provenienti sempre dalla Banca d’Italia, sulle concessioni di fidi ed extrafidi. Tra i dipendenti dell’istituto bancario, come responsabile dell’ufficio rischi, figura Rocco Coppola, fratello di Filippo Coppola, condannato per associazione mafiosa con sentenza definitiva. Quest’ultimo è detto il professore, perché negli anni scorsi ha insegnato pedagogia e lettere, ed è indicato come vicino ai boss Virga e Messina Denaro. Lo scorso aprile i carabinieri di Trapani gli hanno sequestrato beni del valore di tre milioni di euro. Secondo gli inquirenti la sua ingerenza avrebbe portato personaggi collegati a Cosa Nostra trapanese a gestire la banca di Paceco.
Determinante nelle indagini è stato un software chiamato Molecola, in grado di incrociare i dati di chi aveva rapporti con l’istituto di credito. Su 1.600 soci, 326 avrebbero avuto precedenti penali e undici di questi sarebbero legati alla criminalità organizzata. Tra i casi clamorosi scoperti, un prelievo in contanti di 120mila euro fatto dalla cognata del pentito di mafia Francesco Milazzo. Ancora più assurda la risposta dell’istituto di credito trapanese alla Banca d’Italia che chiedeva spiegazioni: l’operazione era stata consentita perché «era prevalsa la conoscenza del carattere della cliente suggestionata dalle notizie sulla crisi dei mercati». Altra operazione che ha fatto scattare l’allarme degli investigatori è stata la transazione concessa a Pietro Leo, per gli inquirenti indiziato di mafia, che aveva stipulato un mutuo di 237mila euro e ha ottenuto di restituirne 135mila in dieci anni. La figlia era dipendente della banca.
Le indagini sono state condotte dal colonnello Francesco Mazzotta della Guardia di finanza e coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Bernardo Petralia. Adesso ad amministrare la banca sarà Andrea D’Anna e la società di consulenza Pricewaterhouse. L’istituto di credito ha una sede a Paceco e cinque filiali: a Paceco, Trapani, Dattilo, Napola e Marsala. «I correntisti non rischiano nulla – precisano gli inquirenti – anzi sono tutelati da possibili situazioni di pericolo che avrebbe potuto correre la banca se fosse proseguita quella gestione».
«Il provvedimento del tribunale di Trapani – ha commentato il procuratore Lo Voi – che accoglie una nostra istanza, prosegue la linea che da tempo perseguiamo e che punta sul rafforzarsi delle indagini finanziarie, sulla ricerca dei flussi illeciti e sull’approfondimento degli strumenti finanziari leciti e illeciti che usa la criminalità organizzata».