In mezzo alla vicenda dell'ex colosso di Paternò spunta un passaggio di un comunicato della procura che indica l'azienda di Franz Di Bella come destinataria di pagamenti preferenziali. A MeridioNews l'avvocato fa chiarezza sul caso
Tracollo call center Qè e crediti incassati dalla Di Bella Legale: «Noi vittime. Per i pm la colpa è di Argenterio»
In mezzo al fallimento del call center Qè e all’inchiesta della procura di Catania, che la scorsa settimana ha portato all’arresto dell’ex patron Patrizio Argenterio con l’ipotesi di bancarotta fraudolenta, spunta il nodo di alcuni pagamenti alla Di Bella srl (società non coinvolta nel’inchiesta, ndr). Nuova realtà imprenditoriale di Paternò che, di fatto, ha preso il posto di Qè – e con cui non ha collegamenti – attraverso la Netith di Franz Di Bella. A fare saltare dalla sedia l’imprenditore, che non è coinvolto nell’indagine, è stato un passaggio di un comunicato stampa della procura di Catania in cui si ipotizzava che l’azienda Di Bella avesse potuto usufruire di «pagamenti preferenziali» in quanto società creditrice della Qè.
Somme per 828mila euro che sarebbero state versate nonostante la presenza di altri creditori che da tempo bussavano alla porta di Qè e a cui si aggiungerebbero altri 600mila euro che Di Bella srl attende ancora di incassare. Una situazione delicata, da inquadrare negli anni in cui Qè versava già in stato di insolvenza, poi culminato nel maggio del 2017 nel fallimento della società, e gravata tra l’altro da debiti erariali non assolti per un totale complessivo di 14 milioni di euro.
«La procura – spiega a MeridioNews l’avvocato Salvatore Nicolosi, legale della Di Bella – ha indicato che il dissesto della Qè è imputabile al presidente del cda e amministratore Argenterio o comunque alle persone che egli in qualche modo poteva dirigere. La società da me assistita sarebbe una delle vittime». Per quanto riguarda le cifre incassata e da ottenere, Nicolosi non si sbilancia: «Non posso confermare queste cifre perché abbiamo ragionevoli motivazioni per dubitarne, ma ci riserviamo di rivalutarle in sede di contraddittorio».
Al centro della vicenda ci sono gli immobili di contrada Tre Fontane che la Di Bella Group aveva dato in affitto alla Qè per l’espletamento dell’attività aziendale. Ai tempi della locazione degli immobili, Franz Di Bella, amministratore della Di Bella group, ha ricoperto anche la carica di consigliere di amministrazione della Qè. Carica ottenuta nel 2013 a seguito dell’acquisto del 28 per cento delle quote della società, salvo poi dimettersi. Per questo, secondo gli inquirenti, pur non essendo indagato sarebbe «stato consapevole dello stato di dissesto in cui versava l’azienda».
Tesi rifiutata dal legale di Di Bella. «Quando è stato dichiarato il fallimento – spiega – la procura ha dato incarico ai consulenti di riclassificare i bilanci della società, ritenuti sovrastimati». La domanda per il tribunale era solo una: se un’azienda fallisce, qualcosa prima deve essersi inceppato nel suo funzionamento. Ma quando? Sulla base delle stime del perito, «il pm ha retrodatato l’insolvenza della società al 2015, ma questo crea un problema di conoscibilità da parte degli amministratori non esecutivi tutto da appurare».