Shell, la storia ambigua di un'adolescente scozzese del giovane regista Scott Graham, ha conquistato la giuria del festival piemontese. Un'edizione che ha registrato un ottimo afflusso di pubblico e grande qualità delle opere presentate. Presto dimenticate le polemiche con Ken Loach, per un evento che punta tutto non sulle star e sul red carpet ma sul vero protagonista: il film
Torino Film Fest, vince l’esordiente Graham Grande successo per la trentesima edizione
Shell dellesordiente Scott Graham (sino ad ora aveva diretto solo un cortometraggio) ha vinto con merito la trentesima edizione del Torino Film Festival. La storia di Shell, adolescente scozzese che vive con il padre in una sperduta stazione di servizio nelle highlands del nord dellInghilterra, ha conquistato non solo la giuria, guidata da Paolo Sorrentino, ma anche il pubblico (tutte le repliche durante il festival hanno fatto registrare il tutto esaurito).
Il film affascinata per un linguaggio asciutto fatto di silenzi, di luoghi desolati e bellissimi e di rari avventori, che racconta con grande profondità del rapporto ambiguamente incestuoso tra un padre e una figlia (la bravissima Chloe Pirrie) divisi e uniti drammaticamente e tragicamente (con echi di speranza) dal dolore per labbandono della madre/moglie e per la malattia (epilessia) dello stesso padre.
Visto la qualità alta del concorso di questedizione, probabilmente avrebbero potuto vincere anche altri film come il turco Present Tense (di Belmin Söylemez) o anche Su Re (di Giovanni Columbu) ma certamente il film di Scott Graham rispecchia meglio per caratteristiche stilistiche e per la biografia del suo autore (il ToFF nel 1982 quando è nato si chiamava festival del Cinema giovane) quello che è lidentità, linclinazione e lanima artistica della manifestazione cinematografica torinese.
Il premio speciale della Giuria consegnato da Ambra Angiolini, madrina della serata finale di premiazione del festival svoltasi sabato sera, è andato ex-aequo allitaliano Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo – storia di due amici inconsueti che uniti dall’esperienza della malattia decidono di fare «una chiamata» a Sean Connery loro mito di sempre – e all’americano Pavillon (di Tim Sutton), vicenda adolescenziale raccontata tra la poesia e la realtà di un gruppo di teenager persi tra prime esperienze sentimentali, corse in bici e skateboarding. Se sicuramente appare meritato il premio a Noi non siamo come James Bond per incisività narrativa e per la sua delicata ironia, la pellicola di Tim Sutton non sembra meritare del tutto lex-aequo per la frammentarietà del racconto e per la poca efficacia stilistica.
La tedesca Aylin Tezel, protagonista del film Breaking Horizons (di Pola Beck), ha vinto meritatamente il premio come migliore attrice per la forza e la credibilità del ruolo da lei interpretato di una ragazza che, restando incinta dopo un rapporto occasionale, vive
questesperienza con anticonformismo, smarrimento e tragica dolorosa felicità. Convincente anche il premio a Huntun Batu come miglior attore nel film mongolo The first aggregate (di Emyr ap Richard e Darhad Erdenibulag), triste vicenda di un mediocre stuntman che alla fine ottiene il ruolo della sua vita.
In fine il premio Cipputi, dedicato al miglior film sul mondo del lavoro (la giuria era composta da Francesco Tullio Altan, Antonio Albanese e Michele Serra), è andato al film di Maura Delpero Nadea e Sveta per la forza e la credibilità della vicenda.
Più 16,25 per cento di incassi, più 17,8 per cento di biglietti staccati e più 14,8 per cento di accrediti rilasciati rispetto alla passata edizione, parlano certamente di una edizione del Torino Film Festival – questa quarta ed ultima a direzione di un ottimo Gianni Amelio – positiva nella qualità e nei numeri. Malgrado non sia mancata qualche sbavatura come la polemica con Ken Loach, la mancanza di posti a sedere in alcuni frangenti della manifestazione (a dispetto della professionalità e la gentilezza dello staff del cinema Lux, certamente la struttura, per dimensione, non è adatta ad un festival con un così largo afflusso di spettatori) e la confusione creata per gli accreditati nel processo di prenotazione e riscossione dei biglietti, nel complesso il festival ha comunque mantenuto ed accentuato le sue caratteristiche di qualità e la sua capacità di puntare tutto non sulle star e sul red carpet (vedi Roma in primis ma anche Venezia) ma sul vero protagonista dei festival: il film.
Per la prossima edizione, la trentunesima, si parla già per la direzione di Gabriele Salvatores. Personalmente si spera che così sia, ma si vedrà! Al prossimo anno.
[Foto di bluestardrop – Andrea Mucelli]