«Mandamenti in crisi, ma che dimostrano una certa resilienza nel recepire i colpi». È questo che, a sentire i magistrati, emerge dall’operazione Talea che questa notte, con il contributo di circa duecento militari, unità cinofile ed elicotteri, ha portato dietro le sbarre 22 indagati e costretto altri tre ai domiciliari. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione consumata e tentata, danneggiamento, favoreggiamento personale, ricettazione, commessi con l’aggravante mafiosa. Tutti e 25, per gli inquirenti, affiliati ai mandamenti di San Lorenzo e Resuttana, già colpiti in passato con le operazioni David nel 2005, Eos dal 2008 al 2010, Oscar nel 2011 e Apocalisse nel 2014. «La buona notizia è che Cosa nostra in alcuni territori ha parecchi problemi. La brutta, invece, è che dimostra una certa resilienza nel recepire i colpi da noi inferti», spiega il sostituto procuratore Salvatore De Luca.
L’organizzazione, insomma, resiste. E tenta di continuo a riassemblare i propri assetti. Malgrado addirittura la morte di alcuni storici capimafia, come Francesco Madonia. Il suo controllo infatti proseguiva anche oltre la morte, grazie a Sergio Napolitano e Salvatore Lo Cricchio, rispettivamente cugino e zio di Maria Angela Di Trapani. E lei, da quanto emerso con questa operazione, non è un personaggio secondario, anzi. Moglie dell’ergastolano Salvino Madonia, avrebbe gestito per conto del marito e della famiglia le attività della cosca, prendendo decisioni, ordinando nomine o, al contrario, annullandone.
È il caso di Giovanni Niosi, che secondo le indagini, in un primo momento voluto come reggente del mandamento mafioso di Resuttana, poi, invece, sarebbe stato destituito e retrocesso dal delicato incarico perché ritenuto inadeguato e in malafede a causa del patteggiamento durante il processo scaturito dall’operazione Addio pizzo 5, scelta che per i sodali violava i pilastri del galateo mafioso e dell’essere un uomo d’onore. Ma tra i suoi peccati si aggiungerebbe anche il mancato sostentamento alle famiglie di alcuni detenuti e l’autonomia con cui avrebbe gestito il racket delle estorsioni, senza avvisare dei suoi movimenti gli altri affiliati, che in questo modo non potevano avere nessun riscontro oggettivo sulle entrate nella cassa mafiosa.
Per questo, nell’ottobre del 2015, la donna sarebbe intervenuta a gamba tesa nelle dinamiche del mandamento, imponendo il ritorno alla precedente triade collegiale per guidare le famiglie. I tre sono Sergio Macaluso, Pietro Salsiera e Napolitano. A dare il placet, ovviamente, sarebbe stata sempre lei, Maria Angela Di Trapani. Rischia addirittura di venire ucciso, Niosi. Ma a fare saltare il piano per punire la sua inadeguatezza come vertice è l’intercessione di Paolo Calcagno, ex reggente del mandamento di Porta Nuova arrestato a dicembre 2015 con l’operazione Panta Rei, che avrebbe invece suggerito un semplice demansionamento. A guidare il mandamento di San Lorenzo, invece, secondo gli inquirenti, viene messo Francesco Paolo Liga, ritenuto uomo d’onore della famiglia di Tommaso Natale.
«Sono tutti combinati, cioè abitualmente affiliati». spiega De Luca. A colpire è la capacità di riorganizzarsi, malgrado i cento arresti messi a segno con Apocalisse. Malgrado, soprattutto, a occuparsi degli assetti siano spesso soggetti divenuti da poco tempo uomini d’onore, senza nessuna particolare caratura o propensione a ricorrere alla violenza. Usando spesso, per esempio, affiliati specifici di ogni borgata. «Commissionare un incendio, ad esempio, costa cento euro, se incarichi un picciotto dello Zen», prosegue De Luca.
Mandamenti animati, poi, da dibattiti interni di un certo peso. Come quello se uscire o meno dal giro delle estorsioni, da sempre fonte principale insieme allo spaccio del sostentamento di Cosa nostra, perché ormai troppo controllato e pericoloso, per entrare invece in quello delle scommesse clandestine, controllando per esempio le corse organizzate all’ippodromo. «La ricostituzione dell’organigramma ha reso necessari una serie di contatti fra personaggi appartenenti ad aree territoriali diverse. Dettaglio, questo, che ha fatto emergere una certa difficoltà nel reperimento di nuove risorse e affiliati che siano affidabili – spiega anche il procuratore capo Francesco Lo Voi -. Per il resto, le modalità restano sempre le stesse, specie per le estorsioni: persuasione, minacce, violenza fisica nei casi di resistenza della vittima».
Dettagli appresi grazie alle intercettazioni ambientali e telefoniche, tutte concatenate fra loro, fondamentali in questa operazione, che hanno permesso di documentare 22 estorsioni, fra tentate e compiute, nei confronti di cinque attività commerciali e 17 imprenditori. Ma anche incendi e intimidazioni. A queste si va ad aggiungere anche il contributo di alcuni collaboratori di giustizia, che hanno reso possibile l’interpretazione di alcuni contesti. «Questa è un’attività di contrasto che non può avere sosta, mai. Deve continuare con metodo e persistenza – aggiunge infine anche Antonio Di Stasio, comandante provinciale dei carabinieri -. I commercianti verranno sentiti nei prossimi giorni, alcuni di loro si sono assoggettati alla richiesta di pizzo e non hanno denunciato».
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