Sudamerica: il pericoloso mestiere di giornalista

Il rapporto della Commissione Interamericana dei Diritti Umani

La Commissione Interamericana dei Diritti Umani è un organismo della OAS (Organization of American States, con sede a Washington D.C.). Durante la sua novantasettesima sessione, celebrata nel 1997, sancì la creazione di un “Rapporto Speciale per la Libertà di Espressione” per vigilare sulle violazioni della libertà di informazione negli Stati dell’emisfero.
L’iniziativa incontrò il pieno sostegno dei Capi di Stato delle Americhe i quali, in occasione del secondo summit delle Americhe celebrato l’anno successivo a Santiago del Chile, riconobbero il ruolo fondamentale della libertà di informazione al punto da raccomandarsi di “rafforzare l’esercizio e rispetto di tutti i diritti umani e la consolidazione della democrazia, incluso il diritto fondamentale della libertà d’espressione, informazione e pensiero”.
Eppure sulla pagina principale del sito della OAS, il bollettino di guerra dei caduti sul campo viene aggiornato costantemente: Enrique Perea Quintanilla, ucciso il 9 agosto a Chihuahua, México. Milton Fabián Gómez, ucciso la stessa notte a Yumbo, Colombia. Il giorno prima, Mark Mikoo, Chitram Persaud, Eion Wegman, Richard Stewart y Shazeem Mohamed sono stati uccisi con un colpo alla nuca nella sede del “Kaieteur News” in Guyana. Altre due persone sono state gravemente ferite.
Nonostante le dichiarazioni d’intenti, evidentemente la situazione non è migliorata nell’ultimo decennio. In ognuna di queste tristi occasioni la OAS ha ricordato ai governi locali gli impegni da loro sottoscritti, esortandoli a prevenire e contrastare questi fenomeni.
Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione, fra i 172 giornalisti assassinati in Sudamerica nel decennio 1995-2005, 83 sono stati uccisi in Colombia, 24 in Brasile e 24 in Messico.
Le fonti dei dati sono gli stessi governi locali, organizzazioni non governative e altre istituzioni. Il proposito dello studio è proprio quello di verificare i risultati concreti portati alla fine delle indagini per ogni omicidio, oltre ad un’analisi generale della situazione nella regione. Il rapporto infatti sottolinea anche l’eventuale esistenza di individui processati o condannati come autori materiali, intellettuali, complici; le tappe processuali in corso; i legami di tali omicidi con l’effettivo esercizio della professione giornalistica da parte delle vittime.

Messico: i recenti episodi di violenza

Particolarmente preoccupante appare ultimamente la situazione in Messico, dove il delicato contesto politico seguito all’incertezza del risultato delle elezioni ha alzato la tensione anche nei confronti dell’operato dei giornalisti locali. Lo scorso febbraio il presidente Vicente Fox ha incaricato una commissione apposita di indagare sulle morti dei giornalisti nel Paese.
Secondo quanto riferito da Reporter Senza Frontiere (RSF), il Paese negli ultimi due anni è diventato in assoluto il più pericoloso dell’America Latina per i giornalisti, con dieci omicidi totali, di cui due nel solo mese di aprile.
Fino ad ora nessuno è stato indagato nè arrestato per questi delitti.
La zona maggiormente coinvolta sembra essere quella settentrionale, lungo il confine con gli Stati Uniti dove operano trafficanti di stupefacenti e di esseri umani, spesso in collaborazione con autorità locali corrotte. E così chi sopravvive sembra preferire l’autocensura al rischio della propria vita.
RSF riferisce il 22 agosto scorso, tre fotografi sono stati attaccati dalla polizia – e il loro materiale confiscato – mentre riprendevano l’attacco a una radio di Oaxaca, ocupata dall’inizio del mese da un gruppo di attivisti locali. Quello stesso giorno anche una televisione locale, Canal 9 (parte della televisione di stato CORTV), ha subito un attacco da parte di uomini incappucciati ed armati; il canale stava trasmettendo un appello del sindacato degli insegnanti che chiedevano le dimissioni del governatore locale, Ulises Ruiz. L’irruzione ha causato l’interruzione della trasmissione, danni agli studi e il ferimento di un sindacalista. La stazione era occupata da membri dell’APPO (Assemblea Permanente dei Popoli di Oaxaca), le cui stazioni radiotelevisive erano inutilizzabili a causa di un precedente attacco che ne aveva terminato le trasmissioni.
RSF denuncia la gravità della situazione creatasi ad Oaxaca negli ultimi due mesi, dove la libertà di stampa è stata costantemente violata. Sottolinea che si tratta dell’ennesimo episodio in una vicenda che vede opporsi sindacati e Governatore, membro del PRI, partito che ha governato l’intero Messico per sette decadi fino al 2000. Per questo chiede l’intervento dell’autorità federale. Il portavoce del presidente Vicente Fox ha riconosciuto l’esistenza di un problema serio ad Oaxaca – un problema pur sempre riguardante il governo locale, ritenuto responsabile diretto dell’attacco; nelle stesse ore, fonti del governo locale hanno al contrario negato il coinvolgimento della polizia nell’azione.
A metà agosto attivisti dell’APPO hanno aggredito un giornalista accusandolo di informazione faziosa, mentre all’inizio del mese quindici persone incappucciate hanno fatto irruzione negli studi di una radio universitaria (appartenente all’APPO) usando acido per danneggiare le apparecchiature.

Traffico di cadaveri in Brasile

Nei mesi passati il Parlamento federale ha approvato una legge per limitare l’accesso alla carriera di giornalista (dal commentatore sportivo, al fotografo, al web designer) a chi ottenga una apposita certificazione statale. Lo scorso 26 Luglio però il presidente Lula da Silva ha posto il veto su questa legge, di fatto accogliendo le richieste della stessa RSF.
Ma anche in Brasile proseguono le intimidazioni e le minacce agli operatori della stampa: dalla metà di agosto la reporter Maria Mazzei è protetta dalle autorità brasiliane, a seguito di minacce ed insulti ricevuti dopo la pubblicazione di un suo reportage: l’articolo riguardava il traffico in corpi umani a Rio de Janeiro.
La Mazzei ha scoperto che i corpi verrebbero venduti per truffare le compagnie assicurative, e lo scorso 12 agosto ha pubblicato un’intervista ad un ex ufficiale della marina che ammetteva di aver simulato la propria morte al fine di incassare un cospicuo risarcimento; la giornalista avrebbe inoltre svelato l’apparente coinvolgimento dello stesso istituto medico forense, direttamente implicato nella vendita dei cadaveri alla così detta “Máfia dos Corpos”.
È stato a questo punto che ha iniziato a ricevere telefonate minacciose, mentre i vicini avrebbero visto un’auto girare intorno alla sua abitazione. Da allora, si trova in un luogo nascosto insieme alla sua famiglia.

Il triste primato della Colombia

Nel decennio preso in esame dal rapporto della Commissione Interamericana dei Diritti Umani, la Colombia è risultata essere il Paese in assoluto più ostile alla libertà di stampa.
Qui i giornalisti ricevono costanti pressioni e minacce da tutte le direzioni: dai gruppi guerriglieri, da quelli governativi, dal cartello dei trafficanti di droga. Proprio guerriglia, corruzione e narcotraffico sono temi pericolosi da trattare anche marginalmente.
In un clima di guerra civile, tutti cercano di controllare gli organi di stampa. L’anno scorso 69 reporter (sei dall’inizio del 2006) hanno dovuto lasciare il Paese a causa delle minacce ricevute.
Una manciata di giorni fa Miltón Fabián Sánchez è morto nei pressi della città di Cali. Era presentatore in una radio locale, ma in precedenza aveva lavorato nell’ ufficio stampa comunale. Il suo programma si occupava di diritti umani, servizi pubblici, crimine. Il capo della polizia locale ha dichiarato che resta da stabilire se l’omicidio abbia un legame con l’attività giornalistica della vittima, uccisa con tre spari da uomini a volto coperto poi dileguatisi.

Cosa succede a Cuba?

Libertà di espressione e di associazione continuano ad essere a repentaglio sull’isola caraibica, a detta di Amnesty International e della maggioranza delle organizzazioni umanitarie internazionali.
Dal ricovero di Fidel Castro, un mese fa, le notizie dall’isola caraibica si sono fatte ancora più rarefatte e contraddittorie. Secondo RSF, le autorità locali stanno sistematicamente negando l’accesso alla stampa estera, soprattutto a giornalisti considerati “parziali”.
Già l’anno scorso l’organizzazione relegava Cuba verso il fondo della classifica di libertà di stampa, soprattutto a causa di quei venti giornalisti ancora detenuti dal 2003 insieme ad altri dissidenti politici con l’accusa di collaborazionismo con gli USA. Negli anni successivi ventidue persone sono state rilasciate, ma altre restano ancora incarcerate.
RSF chiede insistentemente il rilascio di tutti i giornalisti, e risponde alle accuse secondo cui riceverebbe finanziamenti dalla CIA evidenziando di avere sovvenzioni solo da un gruppo chiamato “Centre for Free Cuba”, oltre che dal “National Endowment for Democracy”, organismo privato statunitense con lo scopo dichiarato di “aiutare a rafforzare i legami fra i movimenti democratici indigeni all’estero ed il popolo degli Stati Uniti”.
Il 31 gennaio 2006 il giornalista indipendente Guillermo Fariñas ha iniziato uno sciopero della fame perchè tutti i cubani abbiano libero accesso ad internet, mezzo per ora ancora controllato dal governo e accessibile solo attraverso postazioni fornite da organizzazioni ufficiali.

Conclusioni

Nel corso del 2006, in Argentina diversi programmi televisivi e radiofonici sono stati ritirati a seguito di pressioni da parte delle autorità; in Costa Rica, la corte suprema ha rifiutato di abolire l’articolo della legge sulla stampa che prevede l’incarcerazione per chi usi i media per diffamazione; in Venezuela sono state promosse leggi restrittive; in Ecuador, Guatemala e Guyana diversi giornalisti sono stati uccisi.
Nel 2005 nel mondo sono stati uccisi 63 giornalisti, oltre 800 arrestati, più di mille aggrediti, minacciati, censurati. Il rapporto annuale di RSF presentato a Parigi lo scorso maggio non lascia dubbi: la libertà di stampa, spesso promossa a parole e stabilita nero su bianco, resta un miraggio in molti Paesi del mondo. E se i più a rischio sono quelli della fascia mediorentale, l’America Latina si distingue ancora per pericolosità e autocensura.


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