Il procuratore di Caltanissetta sulle stragi del ’92: «L’ipotesi della pista nera vale zero»

Non ha alcun dubbio il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca: «L’ipotesi della pista nera per quanto riguarda le stragi di mafia del 1992, legata al terrorista Stefano delle Chiaie, vale zero tagliato». Così De Luca ha dichiarato oggi durante l’audizione alla Commissione nazionale antimafia, indicando che si stanno svolgendo ulteriori indagini. «Quando abbiamo ricevuto gli atti da Palermo – ha aggiunto – pensavamo che si trattasse di una pista eccezionale, ma guardando le carte ci siamo resi conto che si trattava di zero tagliato». La pista era stata prospettata dall’allora procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ora senatore del Movimento cinque stelle.

L’inchiesta su mafia e appalti

E ha proseguito dichiarando che «nel 1992 non si è fatto quello che si doveva fare», riferendosi all’inchiesta su mafia e appalti. «Dopo la strage di Borsellino cambia l’Italia, perché ci sono state due stragi e perché c’è la forza propulsiva di Mani pulite che scompaginerà un intero sistema politico. Cambia lo stesso gruppo imprenditoriale Ferruzzi, cambia il procuratore – aggiunge De Luca –. Ciò che era fattibile o, secondo la nostra ipotesi, voleva la dirigenza della procura fino al luglio 1992, cambia decisamente. Già quando è stato sfiduciato Pietro Giammanco e ancora di più quando è arrivato il procuratore Caselli. Lui – continua – dà un nuovo impulso a certe indagini. Non ha alcun interesse politico personale a bloccare, rallentare o insabbiare le indagini su mafia e appalti». 

L’avvio delle nuove indagini

«Prima di ricominciare le indagini sul cosiddetto filone mafia e appalti ho ritenuto opportuno informare il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo – prosegue De Luca -. Abbiamo in corso filoni di indagine aperti su tutte le principali ipotesi. Riguardanti le cause o i concorrenti esterni delle stragi del 1992. Oggi parlerò principalmente del cosiddetto filone mafia e appalti, perché abbiamo ottenuto i migliori risultati proprio in questo. Gli altri sono ancora in corso in una fase in cui è necessario attendere l’esito di ulteriori accertamenti prima di potere delineare una ipotesi sufficientemente suffragata della pubblica accusa».

Le «concause» e le «precondizioni» delle stragi

E ha aggiunto che «l’arco cronologico di rilievo, secondo l’ipotesi accusatoria che abbiamo formulato, è quello in cui è stato procuratore Pietro Giammanco». Inoltre, il procurato di Caltanissetta ritiene che «vi siano molteplici e concreti indizi per affermare che la gestione del filone mafia e appalti alla procura di Giammanco sia una delle concause della strage di via D’Amelio. E vi sono elementi per ritenere che sia anche una delle concause della strage di Capaci». A proposito delle concause e delle finalità delle stragi, De Luca indica che «non so se si può parlare di tre concause o, per meglio dire, di due precondizioni e una concausa. A parer nostro, le precondizioni sono l’isolamento prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino nell’ambito della procura di Palermo. Poi la loro sovraesposizione non solo alla procura di Palermo. Gravi indizi supponiamo ci siano anche sulle precondizioni».

Gli indizi sulle «porcherie»

Il procuratore De Luca ha poi dettagliato che la prima precondizione sia stata «l’isolamento. Vi sono dei precisi indizi che emergono dalle dichiarazioni rese a sommarie informazioni dall’attuale senatore Roberto Scarpinato all’ufficio. Ma pure dall’esito di una intercettazione fra Gioacchino Natoli e Matteo Frasca, presidente della Corte d’appello di Palermo. Altri indizi emergono dall’interrogatorio reso dal dottor Natoli». Il procuratore di Caltanissetta, ha poi spiegato che «nel corso di un colloquio con Frasca, Natoli gli riferisce: “Scarpinato mi ha detto Giammanco di porcherie ne ha fatte, ma questa no”. Riteniamo – sostiene De Luca – che si riferisse alle ipotesi che formuliamo nei confronti di Natoli. Ma parliamo evidentemente di altre “porcherie”. Cioè di fatti ovviamente non corretti».

La conferma dell’isolamento di Falcone e Borsellino

«Nell’interrogatorio, Natoli, una volta avuto indicata quale fonte di prova queste affermazioni di Scarpinato, le ha confermate – dichiara ancora De Luca -. Dice “sì, effettivamente c’è stato l’isolamento di Falcone e di Borsellino”. Questa posizione assunta dinanzi all’ufficio di Caltanissetta non era stata altrettanto netta da parte di Scarpinato dinanzi al Csm, nel corso dell’audizione del luglio del 1992. Anche se erano stati indicati dei fatti dai quali, per certi versi, si poteva desumere un atteggiamento non lineare di Giammanco. Nei confronti prima di Falcone e poi di Borsellino. Ma sono un’assoluta novità, invece, rispetto alle dichiarazioni rese da Natoli dinanzi al Csm».

L’atto d’accusa

Nell’estate del 1992, l’ex presidente della Corte d’Appello di Palermo Gioacchino Natoli, ha dichiarato De Luca, «ha mentito davanti al Csm». A proposito dei rapporti tra il giudice Paolo Borsellino e l’allora procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco. Dichiarazioni che suonano come un atto d’accusa, quelle del procuratore capo di Caltanissetta durante la sua audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia di questa mattina a palazzo San Macuto a Roma. La procura da lui retta indaga su Natoli per favoreggiamento alla mafia e calunnia. A Natoli viene contestato di avere insabbiato un’indagine per aiutare mafiosi e imprenditori vicini a Cosa nostra.

L’intensità dei rapporti

«In particolare, Natoli dinanzi al Csm ha dichiarato: “Sui rapporti Giammanco-Falcone non posso dire nulla perché io arrivo alla procura di Palermo quattro mesi dopo che Falcone è andato via. Quindi non ho alcuna conoscenza diretta del problema”. E indiretta? Gli chiede il presidente – prosegue De Luca – Indiretta neppure perché, ripeto, Falcone si era trasferito a Roma. Ci si sentiva telefonicamente ci si vedeva di tanto in tanto a Palermo, ma ovviamente l’intensità del rapporto non è più come quando ci vedevamo tutti i giorni. Sui diari non sono in grado di dire tutti questi punti”».

«Non ci sono più le condizioni per lavorare a Palermo»

«Nel corso dell’audizione, giovani colleghi – Antonella Consiglio e de relato il marito Domenico Gozzo che ha avuto raccontato da lei quanto ora riferirò e Antonino Napoli – hanno dichiarato che, nel corso di una riunione dei movimenti per la giustizia, Giacchino Natoli era uno dei leader indiscussi. Giovanni Falcone, a richiesta dei colleghi preoccupati dal fatto che stesse lasciando Palermo per andare al ministero, ha dichiarato: “Non ci sono più le condizioni per lavorare a Palermo, non posso più lavorare a Palermo”. Antonino Napoli ha avuto anche con lui una conversazione privata sul punto. Falcone ha confermato questa sua linea». «Nel corso del suo interrogatorio, Natoli ha confermato che era presente alla riunione – prosegue De Luca – Quindi, vi sono degli indizi concreti per ritenere che Natoli dinanzi al Csm abbia mentito. Perché non so se l’avere sentito con le sue orecchie Falcone affermare queste cose sia indiretto o diretto, come conoscenza, ma certo la domanda era omnicomprensiva. Quindi – conclude – copriva qualunque interpretazione si potesse dare di questa fonte di conoscenza».


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