Il pm Stefano Luciani ha parlato nel corso della requisitoria al processo Capaci bis. Secondo l'accusa, furono le sentenze di metà anni Ottanta e la loro mancata correzione in Cassazione a decretare l'inizio della stagione di sangue. Tra i mafiosi «nessuno osò contraddire Riina»
Strage Capaci, Falcone ucciso per il maxiprocesso «Bisognava far fuori magistrati contro Cosa nostra»
La strage di Capaci fu decisa alla fine del 1991 da Totò Riina. La tesi è sostenuta dal pm Stefano Luciani, che oggi ha parlato durante il processo Capaci bis, sull’attentato in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. A essere accusati della strage sono Salvo Madonia, Vittorio Tutino, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello. Davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta, il pubblico ministero ha sottolineato che «Falcone venne ammazzato per la sua attività di contrasto alla mafia e per gli esiti del maxiprocesso».
L’odio dell’allora capo di Cosa nostra sarebbe giunto al culmine nel corso di alcune riunioni che si tennero alla fine del 1991. «Riina si era impegnato con tutta l’organizzazione criminale a cambiare in Cassazione gli esiti del processo, perché sperava negli appoggi politici di Lima, Andreotti e Ciancimino – ha aggiunto il magistrato -. Cosa nostra temeva la conferma del teorema Buscetta e quindi che emergesse la presenza, all’interno dell’organizzazione criminale, di una struttura verticistica». Per capovolgere le sentenze, Riina puntava sui favori del giudice Corrado Carnevale, che avrebbe dovuto presiedere il processo. «Questo non avvenne perché in Cassazione venne decisa una rotazione nell’assegnazione dei processi di mafia», ha sottolineato Luciani, specificando che la mafia in questa scelta vide l’interferenza di Falcone.
Sul giudice definito ammazza sentenze, il pubblico ministero è stato netto. «È venuto a dirci che non gli interessava presiedere il maxi processo perché stava andando in pensione e ha anche sminuito le critiche, fatte pubblicamente, nei confronti di Falcone – ha attaccato Luciani -. È arrivato a smentire anche il contenuto di una telefonata in cui si riferiva a Falcone in modo non certo lusinghiero.
Tra coloro che avrebbero ascoltato dalla bocca di Riina il proposito di fare fuori Falcone lo stesso Madonia, all’epoca dei fatti rappresentante del mandamento di Resuttana. «Era presente alle riunioni in cui si decise l’omicidio e fin dai primi anni ’80 era sempre stato al corrente dei progetti di attentato nei confronti nel magistrato», ha detto il pm. I motivi per l’attacco frontale furono chiari. «Riina delineò la strategia con cui Cosa Nostra doveva uccidere i magistrati che avevano colpito l’organizzazione e i politici che non avevano garantito appoggio, dicendo che ognuno doveva assumersi le sue responsabilità». Dichiarazione di guerra allo Stato che sarebbe avvenuta in un incontro caratterizzato da un clima gelido. «Nessuno osò intervenire e contraddire Riina che fu accolto dai presenti con un silenzio assoluto», ha concluso Luciani.