La bagarre tra Democrazie cristiane è più seria di quanto si immagini. Desideri: «La legge parla chiaro»

Non è una semplice scaramuccia tra nostalgici quella andata in scena dopo i vari botta e risposta a colpi di dichiarazioni e comunicati stampa tra sedicenti democristiani. Tutto è successo dopo il congresso organizzato a Roma dalla nuova Democrazia cristiana di Totò Cuffaro. L’ex presidente della Regione è stato eletto segretario nazionale di un partito, quello da lui stesso fondato, che in realtà potrebbe tecnicamente non esistere. «Per chiamarsi congresso nazionale di un partito serve una pubblicazione sulla gazzetta ufficiale», spiega a MeridioNews Fabio Desideri, portavoce e coordinatore della Democrazia cristiana. O meglio, di quella Democrazia cristiana che ha ottenuto dalla corte di Cassazione la titolarità di simbolo e denominazione. «Noi lo abbiamo fatto. Dopo la sentenza della corte di Cassazione, sezioni riunite, che ha dichiarato nulli lo scioglimento della Democrazia cristiana operato da Martinazzoli nel 1994 e gli accordi di Canne abbiamo rifatto i congressi regionali, fatto la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale e abbiamo atteso trenta giorni per permettere eventuali contestazioni, ma nessuno si è opposto agli esiti del congresso».

Secondo Cuffaro, tanto Desideri quanto Gianluigi Rotondi – altro contendente all’eredità di don Luigi Sturzo – avrebbero fatto meglio a cercare un confronto politico anziché tirare in ballo le aule di un tribunale. Tribunali che da tempo, però, sono impegnati a dirimere una questione quanto mai spinosa. «In Italia, fino a prova contraria, ci sono le leggi, gli organismi giurisdizionali ed esiste anche lo statuto del partito – dice ancora Desideri al nostro giornale – L’ex senatore Cuffaro, così come altri ex, ha l’abitudine di non rispettare tutto questo. Quello che ha fatto Cuffaro non ha nulla a che vedere con un congresso di partito. È solo un tentativo, durante la fase elettorale, che assume una connotazione ben normata dal codice penale».

E ancora ci tiene a precisare Desideri che «il simbolo e la denotazione sono di proprietà del partito. Tutto quello che hanno fatto vale come il due di coppe quando la briscola è a denari – chiarisce usando una metafora di un gioco di carte siciliane – I nostri avvocati stanno depositando nelle sedi competenti le carte. Con il massimo rispetto, noi immaginiamo una Dc completamente diversa da quella che immagina il signor Cuffaro. Non possiamo avere niente a che fare con chi sa che c’è un partito che non si è mai sciolto, che si è riunito due mesi fa, si sveglia una mattina e usa il suo nome». E i primi effetti di questa guerra a distanza si sono verificati proprio in Sicilia, ad Acireale e ad Aci Sant’Antonio, dove le liste della Dc di Cuffaro sono state ricusate proprio perché la nomenclatura Democrazia cristiana è risultata appartenere ad altri. «Le sue liste in Sicilia sono state ricusate dopo le osservazioni che abbiamo fatto – afferma Desideri – Siamo persone che rispettano le leggi e chi doveva valutare, un prefetto della Repubblica, ha deciso che erano da ricusare». Lo stesso però non è accaduto a Catania e in altri Comuni. Così come non è successo lo scorso anno per le Regionali, cosa che ha fatto sì che le due ricusazioni venissero poi annullate dal Riesame, visto che «le delibere, de facto, riconoscono in toto la piena titolarità, nonché il pieno diritto di utilizzo, sia del simbolo che della dicitura “Democrazia Cristiana” al partito già presente, con proprio gruppo parlamentare, all’Assemblea regionale siciliana».

«È vero che si sono presentati nel 2022 – prosegue ancora il coordinatore democristiano – Nel 2022 il processo di riunificazione storico della Dc non era completato: abbiamo costituito la commissione di garanzia, organismo di base che la Dc prevede in una situazione di vacazione, a dicembre, non avevamo modo di contestare». Ma la vicenda legata all’eredità della Dc storica, quella fondata nel 1943, non si ferma a uno scontro per le insegne. In ballo c’è anche il patrimonio mobiliare e immobiliare di quello che per cinquant’anni è stato il primo partito italiano. E la vera sfida si proporrà tra qualche mese, quando sarà il momento di pensare alle elezioni europee. Cosa che stanno facendo tanto Cuffaro quanto Desiderio quanto Rotondi. «Quest’anno abbiamo fatto una scelta, non eravamo pronti e non abbiamo presentato liste, tranne che in un solo comune d’Italia – conclude Desiderio – Chiaro che stiamo riorganizzando il partito con la stessa identica forma, aggiornando a oggi quelle forme che lo necessitavano. Per noi il prossimo impegno sono le elezioni europee, dove ci sarà il simbolo della vera Dc, non quella con la croce sabauda di Cuffaro». 


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