Davanti al giudice, come testi, sono comparsi due dei tecnici che valutarono le istanze di risarcimento dopo la tromba d'aria del 2014 ad Acireale. Tra i beneficiari anche Giovanni Barbagallo, che avrebbe lucrato sui risarcimenti seguiti alla calamità
Sibilla, il risarcimento illecito al dirigente Barbagallo La pratica sparita dagli uffici e i favori a Di Stefano
Il mistero della pratica 126. Se l’udienza di oggi del processo Sibilla fosse un giallo, questo potrebbe essere il titolo. Al piano terra di piazza Verga si è discussa la vicenda che ha visto coinvolti i funzionari del Comune di Acireale Giovanni Barbagallo e Salvatore Di Stefano, arrestati nell’operazione che portò in carcere, a febbraio dell’anno scorso, anche l’allora sindaco Roberto Barbagallo.
Barbagallo e Di Stefano sono coinvolti in diversi episodi di mala gestio pubblica, e devono rispondere di accuse che vanno dal falso alla corruzione. Tra le vicende che li riguardano da vicino ce n’è una che li vede protagonisti nella fase in cui al Comune di Acireale si discuteva della ripartizione dei fondi stanziati dalla Protezione civile regionale in seguito alla tromba d’aria che colpì la città il 5 novembre 2014. Tra i beneficiari – per una somma di oltre 14mila euro – ci fu proprio Barbagallo, il cui nome è comparso nell’elenco pubblicato dall’ente a maggio 2017. Quei soldi, però, secondo la procura di Catania sarebbero stati corrisposti all’ingegnere in maniera illecita. Con forzature che avrebbero compreso anche la sparizione della pratica – la numero 126, per l’appunto – che era stata già respinta dalla commissione chiamata a valutare le richieste di risarcimento.
Questa mattina, a comparire davanti ad accusa e difesa, in qualità di testi, sono stati due dei componenti della commissione di valutazione e una collaboratrice di Di Stefano. Tra non ricordo e risposte che hanno confermato quanto raccolto in fase d’indagine: l’istanza di Barbagallo non era stata valutata positivamente perché per i danni riportati dall’immobile non erano compatibili con gli effetti della tromba d’aria. A non convincere alcuni componenti della commissione era stata in particolare la tesi secondo cui il vento avesse causato una lesione verticale a un muro spesso circa sessanta centimetri.
Per questi motivi, si era deciso di chiedere un nuovo computo metrico che però non è mai stato valutato: il giorno in cui l’esame sarebbe dovuto riprendere, la collaboratrice di Di Stefano dà la notizia della sparizione della pratica 126. L’unica a non essere mai più trovata, nonostante una denuncia ai carabinieri. Ciò di fatto, nella ricostruzione degli inquirenti, avrebbe dato a Di Stefano la possibilità di gestire in autonomia il via libera al risarcimento a Barbagallo. Mettendo il suo nome all’interno dei beneficiari. «Ci misi macari a Barbagallo picchì… nel bene o nel male… ci l’amu a dari», è la frase che la guardia di finanza capta all’interno dell’ufficio di Di Stefano.
Ma perché, in un modo o nell’altro, bisognava fare in modo che l’ingegnere avesse i soldi? A questa domanda i magistrati hanno una risposta chiara: Di Stefano era interessato a sdebitarsi per i favori ricevuti dallo stesso Barbagallo. Un dare e avere che, in quel caso, si sarebbe manifestato con la disponibilità di quest’ultimo a dare incarichi da rup a Di Stefano e dunque la possibilità di ottenere ulteriori introiti. L’insistenza dell’ingegnere Barbagallo si sarebbe manifestata anche quando Di Stefano era stato esaminato proprio dal collega nel periodo in cui l’ente era alla ricerca di un dirigente dell’area Tecnica. «U bellu… m’interrogau pi sapiri quannu ci arriva a lettera. Spiramu ca non c’erano cimici…», racconta Di Stefano alla sua collaboratrice. L’allusione, per gli inquirenti, è al fatto che durante il colloquio Barbagallo avesse chiesto aggiornamenti sullo stato di avanzamento della pratica.